Uccisione di una persona e risarcimento del danno: la convivenza non rileva come ci insegnano psicologia, storia (carteggio di Abelardo ed Eloisa) e mito (Penelope ed Ulisse).
L’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima, a nulla rilevando nè che la vittima ed il superstite non convivessero, nè che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur). Nei casi suddetti è pertanto onere del convenuto provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo.
Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza del 15.02.2018, n. 3767