Transformers: che succede quando muta il titolo esecutivo nel corso del processo esecutivo?

Nel sistema vigente opera il principio che il titolo esecutivo, quale condizione necessaria dell’azione esecutiva, deve esistere già nel momento in cui questa è minacciata con la notificazione dell’atto di precetto, che non si può formare successivamente all’inizio del processo esecutivo e che deve permanere fino alla conclusione di questo.

Questo principio, che sta a fondamento dei poteri-doveri del giudice dell’esecuzione, il quale è tenuto alla verifica di cui sopra all’inizio e per tutto il corso del processo esecutivo, incide anche sui poteri del giudice dell’opposizione all’esecuzione. Infatti, quando è contestato il diritto di procedere ad esecuzione, il giudice dell’opposizione deve verificare non solo l’esistenza originaria ma anche la persistenza del titolo esecutivo, poichè la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo determina l’illegittimità, con efficacia ex tunc, dell’esecuzione, in atto ovvero anche soltanto minacciata.

In materia di titolo esecutivo di formazione giudiziale, specificamente nei rapporti tra sentenza di primo grado e sentenza d’appello, si attribuisce alla sentenza d’appello, salvo i casi di inammissibilità, improponibilità ed improcedibilità dell’appello (e, quindi, quelli in cui l’appello sia definito in rito e non sia esaminato nel merito con la realizzazione dell’effetto devolutivo di gravame sul merito), l’efficacia di sostituire quella di primo grado, tanto nel caso di riforma che in quello di conferma di essa.

Ne deriva che, se – al di fuori delle indicate pronunce di definizione in rito dell’appello – si vuole iniziare l’esecuzione dopo la sentenza di conferma di quella di primo grado già esecutiva, occorre notificare come titolo esecutivo la sentenza di appello e, prima ancora, nell’intimare il precetto si deve evocare come titolo giustificativo della pretesa esecutiva la sentenza d’appello in quanto confermativa di quella di primo grado.

Il principio non subisce una vera e propria eccezione nemmeno nel caso in cui l’esecuzione sia stata iniziata in forza della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva e, nel corso del processo esecutivo, sopravvenga la sentenza d’appello, che la confermi, in tutto ovvero in parte. Si ha, in tale eventualità, il fenomeno che parte della dottrina ha definito di trasformazione del titolo esecutivo nel corso del processo esecutivo e che il codice di rito espressamente disciplina nell’ipotesi analoga dell’accoglimento parziale dell’opposizione a decreto ingiuntivo: in entrambi i casi, l’esecuzione iniziata prosegue per conseguire in via esecutiva il credito nei limiti in cui questo è stato riconosciuto con la sentenza di riforma in grado d’appello ovvero con la sentenza di accoglimento soltanto parziale dell’opposizione a decreto ingiuntivo (arg. ex art. 653 c.p.c.).

Sia nell’uno che nell’altro caso si ha che la sentenza d’appello e la sentenza conclusiva del giudizio di opposizione si sostituiscono rispettivamente alla sentenza di primo grado ed al decreto ingiuntivo, anche come titolo esecutivo. Soltanto che la norma dell’art. 653 c.p.c., comma 2, sebbene dettata in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, costituisce espressione di un principio generale valido per tutte le ipotesi in cui un provvedimento giurisdizionale provvisoriamente esecutivo, posto in esecuzione, venga modificato solo quantitativamente da un successivo provvedimento anch’esso esecutivo: in applicazione di tale principio, iniziata l’esecuzione in base a sentenza di primo grado (in passato, munita di clausola di provvisoria esecuzione, oggi), provvisoriamente esecutiva, ove sopravvenga sentenza di appello che riformi la precedente decisione in senso soltanto quantitativo, il processo esecutivo non resta caducato, ma prosegue senza soluzione di continuità, nei limiti fissati dal nuovo titolo (con persistente efficacia, entro gli stessi, degli atti anteriormente compiuti) ove si tratti di modifica in diminuzione, o nei limiti del titolo originario qualora la modifica sia in aumento; in quest’ultimo caso il creditore, per ampliare l’oggetto della procedura già intrapresa, deve fare intervento, per la parte; residuale, in base al nuovo titolo esecutivo costituito dalla sentenza di appello.

Si tratta di prendere atto che il titolo esecutivo originario ha subito una modificazione per la sopravvenienza di altro titolo esecutivo di formazione giudiziale, ma, non essendo questo totalmente incompatibile col primo, consente la prosecuzione del processo esecutivo in corso, sia pure nei limiti in cui i due titoli siano “sovrapponibili”.

Si verifica, in tale ultima eventualità, un’ipotesi di combinazione tra i due titoli esecutivi, analoga a quella, che una parte della dottrina ascrive alla categoria del titolo esecutivo complesso, che si ha quando questo consta della combinazione di due documenti. L’esempio fatto è, appunto, quello della combinazione della sentenza di condanna di primo grado e della sentenza di conferma di secondo grado, che, non riproducendo la condanna già pronunciata, debba essere integrata con la prima. Tuttavia, si tratta di fattispecie che, non incidendo sull’effetto devolutivo che ha avuto l’appello concluso con la sentenza di rigetto nel merito, non sottrae a quest’ultima la qualificazione di titolo esecutivo; la sentenza d’appello, ove l’esecuzione non sia ancora iniziata, dovrà essere notificata al debitore ex art. 479 c.p.c..

Cassazione civile, sezione terza, sentenza del 7.2.2013, n. 2955

…omissis…

1.1.- Nel giudizio di primo grado si costituì l’Edera s.p.a. in l.c.a., in persona del Commissario liquidatore, insistendo per il rigetto dell’opposizione.

1.2. – Il Tribunale di Roma si pronunciò con sentenza n. 35784 del 23 settembre 2002, rigettando l’opposizione e condannando l’opponente al pagamento delle spese di lite.

2.- Proposto appello dalla parte soccombente e costituitasi la parte appellata, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 636, pubblicata il 14 febbraio 2008, ha rigettato l’appello ed ha condannato l’appellante al pagamento delle spese processuali.

La Corte d’Appello ha premesso che, a sostegno dell’impugnazione, era stato dedotto: a) l’inidoneità dell’azionato titolo giudiziale all’esercizio dell’esecuzione forzata, trattandosi di sentenza di condanna accessoria a sentenza di rigetto; b) il difetto di legittimazione del commissario liquidatore dell’Edera ad intimare il precetto, sia per la difformità tra il soggetto indicato nel titolo come creditore e quello risultante come soggetto attivo dell’esecuzione, sia perchè le S.U. della Cassazione avevano accertato la giuridica inesistenza del D.M. che aveva nominato il predetto commissario; c) la non debenza di alcune delle voci di spesa esposte nel precetto opposto. Ha quindi reputato che fossero inammissibili il motivo sub a), perchè nuovo, ed il motivo sub c), perchè relativo a censura che si sarebbe dovuta proporre nel giudizio di appello relativo al titolo esecutivo; quanto ai motivi sub b) ha ritenuto che configurassero motivi di opposizione agli atti esecutivi, riguardo ai quali non sarebbe stato consentito l’appello e che, nel merito, sarebbero stati comunque infondati, perchè il titolo esecutivo sarebbe stato emanato in favore dell’Edera s.p.a. in l.c.a. e perchè il precetto sarebbe stato intimato da soggetto a ciò legittimato in base al titolo.

3.- Avverso la sentenza Z.A. propone ricorso, affidato a quattro motivi.

Si difende con controricorso l’Edera s.p.a. in l.c.a., in persona del Commissario liquidatore.

Ricorrente e resistente hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.;

parte resistente ha depositato documenti ex art. 372 c.p.c., ed una seconda memoria.

1.- Ritiene il Collegio che sia pregiudiziale e vada perciò previamente trattato il terzo motivo del ricorso. Con questo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 115, 116, 324, 336 e 615 c.p.c., art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La ricorrente deduce che la sentenza impugnata sarebbe viziata perchè non avrebbe tenuto conto della sentenza della Corte di Cassazione n. 21932/2006, già versata in secondo grado, con la quale è stata cassata con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 3225/2002, che aveva confermato la sentenza del Tribunale n. 18781/1999r costituente il titolo esecutivo posto a fondamento del precetto. La ricorrente sostiene che, in tale situazione, avrebbe dovuto trovare e comunque dovrebbe trovare applicazione il principio consolidato per il quale la sentenza di primo grado (sostituita, anche in ordine alla regolamentazione delle spese, dalla sentenza di appello, sia di conferma che di riforma) non rivive, neppure nel capo relativo alle spese, per effetto della cassazione con rinvio della pronuncia di secondo grado, tant’è che spetta al giudice di rinvio, in relazione all’esito finale della controversia, di provvedere sulle spese di tutti i gradi di giudizio, incluso il primo. La Corte d’Appello di Roma avrebbe dovuto tenere conto del giudicato formatosi a seguito della sentenza della Corte di Cassazione n. 21932/2006 e, comunque, di questo giudicato si dovrebbe tenere conto, anche ex officio, da parte di questo Collegio. Precisa in memoria che la cassazione della sentenza d’appello ha comportato il definitivo venir meno del titolo esecutivo posto a fondamento del precetto, poichè non sarebbe più possibile procedere in executivis sulla base della sentenza di primo grado.

1.1.- Parte resistente, col controricorso, pur non contestando la situazione processuale riportata in ricorso,, richiama il precedente contrario al principio invocato dalla ricorrente, costituito dalla sentenza della Cassazione n. 116 del 1972; aggiunge che, “sotto il profilo sostanziale”, l’azione esecutiva nei confronti della ricorrente sarebbe stata da tempo sospesa/interrotta e comunque le somme eventualmente corrisposte a seguito del precetto potrebbero essere restituite, come da precedenti di legittimità richiamati in ricorso.

…omissis…

2.- Ritiene il Collegio che il terzo motivo di ricorso sia fondato e vada accolto.

Nel sistema vigente opera il principio che il titolo esecutivo, quale condizione necessaria dell’azione esecutiva, deve esistere già nel momento in cui questa è minacciati con la notificazione dell’atto di precetto, che non si può formare successivamente all’inizio del processo esecutivo e che deve permanere fino alla conclusione di questo (cfr., tra le tante, Cass. n. 7631/02, nonchè Cass. n. 11769/02).

Questo principio, che sta a fondamento dei poteri-doveri del giudice dell’esecuzione, il quale è tenuto alla verifica di cui sopra all’inizio e per tutto il corso del processo esecutivo (cfr. n. 11769/02 ed altre), incide anche sui poteri del giudice dell’opposizione all’esecuzione. Infatti, quando è contestato il diritto di procedere ad esecuzione, il giudice dell’opposizione deve verificare non solo l’esistenza originaria ma anche la persistenza del titolo esecutivo, poichè la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo determina l’illegittimità, con efficacia ex tunc, dell’esecuzione, in atto ovvero anche soltanto minacciata.

E’ quest’ultimo il presupposto giuridico della giurisprudenza univoca di questa Corte, di cui parte ricorrente invoca l’applicazione al caso di specie, per la quale la sopravvenuta carenza del titolo esecutivo può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio di opposizione ed anche per la prima volta nel giudizio di cassazione (cfr., tra le tante, Cass. n. 3278/00; n. 9293/01; n. 210/02; n. 12944/03; n. 22430/04, fino alle recenti Cass. n. 6042/09, n. 12089/09, n. 11021/11, n. 16610/11, n. 3977/12).

2.1.- Nel caso di specie, il titolo esecutivo è una sentenza di primo grado per legge provvisoriamente esecutiva, sulla base della quale è stato intimato il precetto prima che si fosse pronunciato il giudice d’appello; la sentenza è stata confermata in secondo grado, ma tale sentenza di conferma è stata cassata con rinvio dalla Corte di Cassazione; il giudice di rinvio ha ribadito la condanna della parte già destinataria dell’atto di precetto, ma ha ridotto significativamente il quantum debeatur (con sentenza sopravvenuta alla notificazione del presente ricorso).

Si tratta, quindi, di un caso in cui il titolo esecutivo, esistente ab origine, ha subito delle modificazioni, prima dell’inizio del processo esecutivo, ma nel corso del giudizio di opposizione al precetto (rimasto perciò efficace ex art. 481 c.p.c., comma 2).

Orbene, in materia di titolo esecutivo di formazione giudiziale, specificamente nei rapporti tra sentenza di primo grado e sentenza d’appello, la giurisprudenza di questa Corte da lungo tempo, e pressocchè univocamente, attribuisce alla sentenza d’appello, salvo i casi di inammissibilità, improponibilità ed improcedibilità dell’appello (e, quindi, quelli in cui l’appello sia definito in rito e non sia esaminato nel merito con la realizzazione dell’effetto devolutivo di gravame sul merito), l’efficacia di sostituire quella di primo grado, tanto nel caso di riforma che in quello di conferma di essa (cfr. Cass. n. 2885/73; n.6438/92; n. 586/99; n. 6911/02; n. 29205/08; n. 7537/09).

Ne deriva che, se – al di fuori delle indicate pronunce di definizione in rito dell’appello – si vuole iniziare l’esecuzione dopo la sentenza di conferma di quella di primo grado già esecutiva, occorre notificare come titolo esecutivo la sentenza di appello e, prima ancora, nell’intimare il precetto si deve evocare come titolo giustificativo della pretesa esecutiva la sentenza d’appello in quanto confermativa di quella di primo grado.

2.2.- Il principio non subisce una vera e propria eccezione nemmeno nel caso in cui l’esecuzione sia stata iniziata in forza della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva e, nel corso del processo esecutivo, sopravvenga la sentenza d’appello, che la confermi, in tutto ovvero in parte. Si ha, in tale eventualità, il fenomeno che parte della dottrina ha definito di trasformazione del titolo esecutivo nel corso del processo esecutivo e che il codice di rito espressamente disciplina nell’ipotesi analoga dell’accoglimento parziale dell’opposizione a decreto ingiuntivo: in entrambi i casi, l’esecuzione iniziata prosegue per conseguire in via esecutiva il credito nei limiti in cui questo è stato riconosciuto con la sentenza di riforma in grado d’appello (cfr. Cassazione n. 7111/97, n. 2406/86) ovvero con la sentenza di accoglimento soltanto parziale dell’opposizione a decreto ingiuntivo (arg. ex art. 653 c.p.c.).

Sia nell’uno che nell’altro caso si ha che la sentenza d’appello e la sentenza conclusiva del giudizio di opposizione si sostituiscono rispettivamente alla sentenza di primo grado ed al decreto ingiuntivo, anche come titolo esecutivo. Soltanto che, come già affermato da precedenti di questa Corte, la norma dell’art. 653 c.p.c., comma 2, sebbene dettata in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, costituisce espressione di un principio generale valido per tutte le ipotesi in cui un provvedimento giurisdizionale provvisoriamente esecutivo, posto in esecuzione, venga modificato solo quantitativamente da un successivo provvedimento anch’esso esecutivo: in applicazione di tale principio, iniziata l’esecuzione in base a sentenza di primo grado (in passato, munita di clausola di provvisoria esecuzione, oggi), provvisoriamente esecutiva, ove sopravvenga sentenza di appello che riformi la precedente decisione in senso soltanto quantitativo, il processo esecutivo non resta caducato, ma prosegue senza soluzione di continuità, nei limiti fissati dal nuovo titolo (con persistente efficacia, entro gli stessi, degli atti anteriormente compiuti) ove si tratti di modifica in diminuzione, o nei limiti del titolo originario qualora la modifica sia in aumento; in quest’ultimo caso il creditore, per ampliare l’oggetto della procedura già intrapresa, deve fare intervento, per la parte; residuale, in base al nuovo titolo esecutivo costituito dalla sentenza di appello (così Cass. n. 101/85, n. 2406/86, n. 7111/97).

Il principio non è in contraddizione con l’altro, di cui si è detto sopra, per il quale la sentenza di secondo grado che sia confermativa della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva si sostituisce comunque a quest’ultima quale titolo esecutivo:

piuttosto, si tratta di prendere atto che il titolo esecutivo originario ha subito una modificazione per la sopravvenienza di altro titolo esecutivo di formazione giudiziale, ma, non essendo questo totalmente incompatibile col primo, consente la prosecuzione del processo esecutivo in corso, sia pure nei limiti in cui i due titoli siano “sovrapponibili”.

2.3.- Si verifica, in tale ultima eventualità, un’ipotesi di combinazione tra i due titoli esecutivi, analoga a quella, che una parte della dottrina ascrive alla categoria del titolo esecutivo complesso, che si ha quando questo consta della combinazione di due documenti. L’esempio fatto è, appunto, quello della combinazione della sentenza di condanna di primo grado e della sentenza di conferma di secondo grado, che, non riproducendo la condanna già pronunciata, debba essere integrata con la prima. Tuttavia, si tratta di fattispecie che, non incidendo sull’effetto devolutivo che ha avuto l’appello concluso con la sentenza di rigetto nel merito, non sottrae a quest’ultima la qualificazione di titolo esecutivo; la sentenza d’appello, ove l’esecuzione non sia ancora iniziata, dovrà essere notificata al debitore ex art. 479 c.p.c..

2.4.- Riscontro di quanto detto sopra si rinviene nell’ipotesi complementare in. cui la sentenza di primo grado sia integralmente riformata in grado di appello. Nel caso di processo esecutivo iniziato in forza della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, la riforma integrale di quest’ultima comporta il venir meno della sentenza di primo grado anche come tìtolo esecutivo, nonchè l’improseguibilità del processo esecutivo in corso per la sopravvenuta caducazione, appunto, del titolo esecutivo.

Questo effetto era stato affermato da numerosi precedenti di questa Corte già nel vigore del testo originario dell’art. 336 c.p.c., comma 2, che pure richiedeva il passaggio in giudicato della sentenza di riforma perchè gli effetti di questa fossero estesi ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata. Ed invero era consolidato il principio per il quale “ai sensi dell’art. 336 c.p.c., la sentenza di riforma, resa in grado d’appello si sostituisce immediatamente, fin dalla sua pubblicazione (quindi anche prima del suo passaggio in giudicato), alla sentenza di primo grado, travolgendo le statuizioni riformate e quelle da esse dipendenti, e privandola altresì, nel caso in cui sia provvisoriamente eseguibile ope iudicis od ope legis, di idoneità a legittimare l’instaurazione o prosecuzione di procedura esecutiva” (così, tra le altre, Cass. n. 144/83, n. 3875/84, n. 3700/85, n. 1544/86); contrasti vi furono invece in merito alle conseguenze della riforma, prima del passaggio in giudicato, sull’esecuzione conclusa o sulle situazioni di natura reale e sui rapporti obbligatori di tipo continuativo, costituiti o ripristinati, de iure e de facto, in esecuzione coatta o spontanea della pronuncia di primo grado (cfr. Cass. S.U. n. 1669/82, nonchè Cass. S.U. n. 2925/88).

Non essendo qui rilevante tale ultima questione, il principio per il quale la sentenza di riforma resa in grado d’appello si sostituisce immediatamente, fin dalla sua pubblicazione, alla sentenza di primo grado, privandola dell’idoneità a legittimare l’instaurazione o la prosecuzione di una procedura esecutiva, va a maggior ragione affermato dopo la modifica apportata all’art. 336 c.p.c., comma 2, dalla L. n. 353 del 1990, art. 48, che ha eliminato il collegamento necessario tra l’effetto rescindente della sentenza di riforma ed il suo passaggio in giudicato.

Orbene, poichè l’appello è un mezzo d’impugnazione che, attuando il principio del doppio grado di giudizio, si conclude con una sentenza che, quando è nel merito del rapporto giuridico controverso, si sostituisce a quella di primo grado, non vi sono ragioni sistematiche per sostenere che siffatta sostituzione operi soltanto quando si tratti di sentenza di riforma e non quando si tratti di sentenza di conferma ovvero che operi a tutti gli effetti ma non anche agli effetti esecutivi, che resterebbero regolati dalla sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva.

2.5.- Nemmeno si può ritenere che una distinzione tra sentenza di conferma e sentenza di riforma, quanto all’effetto sostitutivo della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva anche come titolo esecutivo, consegua alla modifica dell’art. 282 c.p.c., apportata dalla L. n. 353 del 1990, art. 33.

Come già rilevato da questa Corte, si tratta di norma assolutamente “neutra” per gli effetti di cui si discute perchè la sua modifica ha comportato soltanto l’attribuzione in via preventiva e generalizzata alla sentenza di primo grado di quell’efficacia esecutiva che prima era propria solo della sentenza d’appello, e che per la sentenza di primo grado costituiva l’eccezione, ma non ha in alcun modo inciso nei rapporti tra sentenza di primo grado e sentenza di secondo grado, quanto all’effetto sostitutivo che contraddistingue quest’ultima (cfr. Cass. n. 7537/09, in motivazione).

3.- Traendo ulteriori conseguenze da quanto sopra, va affermato che la cassazione della sentenza di secondo grado che abbia confermato quella di primo grado, posta a fondamento di un’azione esecutiva, produce effetti analoghi alla sentenza di secondo grado di riforma della prima, per come è normativamente sancito anche dall’equiparazione di cui all’art. 336, comma 2, ultimo inciso.

n vi è dubbio che gli atti pre-esecutivi ed esecutivi che siano stati posti in essere dopo la pronuncia della sentenza d’appello cassata siano da questa dipendenti e vengano travolti ai sensi della norma da ultimo citata, anche quando si tratti di cassazione con rinvio al giudice d’appello, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., (cfr.Cass. n. 12364/06).

Ma ad identica soluzione non può non pervenirsi nel caso in cui la sentenza di secondo grado, che sia stata cassata con rinvio allo stesso giudice, sia di conferma ed il processo esecutivo sia stato iniziato prima della sua pronuncia: solo formalmente gli atti esecutivi appaiono come “dipendenti” dalla sentenza di primo grado.

Ed, invero, poichè è da ritenersi, per quanto sopra, che la sentenza di secondo grado si sia sostituita a quella di primo grado anche come titolo esecutivo, ed anche quando sia sopravvenuta nel corso del processo esecutivo, la sua cassazione con rinvio comporta la caducazione del titolo esecutivo, in ragione di quanto previsto dall’art. 336 c.p.c., comma 2, ult. inciso.

Distinguere le due ipotesi significherebbe non solo creare delle asimmetrie di sistema poco coerenti col disposto dell’art. 336 c.p.c., comma 2, ma far dipendere l’applicazione di questa norma nei singoli casi concreti dalla scelta del soggetto legittimato ad agire in executivis.

In conclusione, va ribadito che la cassazione della sentenza di secondo grado non fa rivivere l’efficacia di quella di primo grado confermata o riformata (così Cass. n. 34 7 5/01).

3.1.- La conclusione è coerente anche con i principi che governano il giudizio di rinvio, richiamati dalla parte ricorrente.

Nel precedente menzionato da quest’ultima, costituito da Cass. 6911/2002, si è affermato che “nell’ipotesi di esecuzione fondata su titolo esecutivo costituito da una sentenza di primo grado, la riforma in appello di tale sentenza determina il venir meno del titolo esecutivo, atteso che l’appello ha carattere sostitutivo e pertanto la sentenza di secondo grado è destinata a prendere il posto della sentenza di primo grado; tuttavia, nell’ipotesi in cui la sentenza d’appello sia a sua volta cassata con rinvio, non si ha una reviviscenza della sentenza di primo grado, posto che la sentenza del giudice di rinvio non si sostituisce ad altra precedente pronuncia, riformandola o modificandola, ma statuisce direttamente sulle domande delle parti, con la conseguenza che non sarà mai più possibile procedere in executivis sulla base della sentenza di primo grado (riformata della sentenza d’appello cassata con rinvio), potendo una nuova esecuzione fondarsi soltanto, eventualmente, sulla sentenza del giudice di rinvio“.

Sebbene la fattispecie sia diversa dalla presente, possono trarsi conseguenze analoghe, qualora si tenga presente l’effetto sostitutivo della sentenza d’appello, sia che; si tratti di sentenza di riforma, come nel caso del precedente appena richiamato, sia che si tratti di sentenza di conferma, come nel caso oggetto del presente ricorso.

Occorre tenere conto altresì del principio, che qui si intende ribadire, per il quale la sentenza del giudice di rinvio non si sostituisce ad altra precedente pronuncia, riformandola o modificandola, ma statuisce direttamente sulle domande delle parti (cfr. Cass. n. 14892/00, n. 6911/02 cit., n. 1824/05).

Nel caso in cui, come quello di specie, la cassazione abbia avuto ad oggetto la sentenza d’appello di conferma della sentenza di primo grado si avrebbe che, se il giudizio di rinvio non fosse stato riassunto nel termine o si fosse estinto, l’intero processo si sarebbe estinto, non potendo certo “rivivere” o continuare a produrre effetti la sentenza di primo grado, eventualmente posta a fondamento dell’esecuzione.

4.- Peraltro, anche se il giudizio di rinvio abbia il suo corso regolare, il giudice di rinvio deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte di Cassazione, cioè ad un principio e a delle statuizioni che hanno comportato la cassazione della sentenza avente statuizioni conformi a quelle che si vorrebbero portare; ad esecuzione malgrado il decisum di legittimità.

Il caso di specie è esemplificativo degli inconvenienti cui porterebbe una soluzione diversa da quella che può essere tratta dal consolidato orientamento di legittimità che qui si intende ribadire.

Il precetto oggetto dell’opposizione di cui al presente ricorso era stato intimato per la somma di L. 18.856.826; a seguito del rinvio, la Corte d’Appello ha riconosciuto come dovuta la minor somma di Euro 3.429,26 (oltre spese generali e quant’altro previsto per legge) e, con la stessa sentenza, si assume che sia sorto un controcredito compensabile a favore della debitrice già destinataria del precetto.

Ritiene il Collegio che vada affermato che il titolo esecutivo su cui il precetto è stato intimato è oramai definitivamente caducato.

Conseguentemente, la sentenza impugnata va cassata e, potendo questa Corte decidere nel merito, l’opposizione proposta da Z. A. deve essere accolta (cfr. Cass. n. 12089/09, n. 3977/12), con conseguente declaratoria di nullità del precetto notificato in data 6 dicembre 1999.

5.- L’accoglimento del terzo motivo di ricorso e le statuizioni consequenziali di cui sopra comportano l’assorbimento dei restanti motivi di ricorso.

Esclusa la soccombenza dell’opponente (cfr. Cass. n. 3977/12), si ritiene tuttavia che sussistano giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei gradi di merito e del presente giudizio di legittimità, considerata la soprav-venienza della caducazione del titolo solo durante la pendenza in appello del presente giudizio, che in primo grado si era concluso col rigetto dell’opposizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione all’esecuzione proposta da Z.A. avverso l’atto di precetto notificato in data 6 dicembre 1999 ad istanza della società l’Edera s.p.a. in l.c.a. e, per l’effetto, ne dichiara la nullità; compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

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