Tassa di titolo per la registrazione della sentenza.

Tra le spese giudiziarie da porre a carico della parte soccombente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., va certamente compresa l’imposta di registrazione della sentenza, la quale è riscossa per la fruizione del servizio pubblico dell’amministrazione della giustizia e trova quindi causa immediata nella controversia, laddove diverso è il regime dei tributi riguardanti atti da registrare in termine fisso, e quindi indipendentemente dall’uso che ne venga fatto in giudizio.
Rispetto a tali atti, invero, la registrazione della sentenza offre solo l’occasione per la loro emersione sul piano tributario, posto che l’obbligo del pagamento dell’imposta – c.d. tassa di titolo – sorge direttamente dalla stipulazione del negozio. Non a caso, già la L. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 72, avvertiva che, quando le sentenze pronunziano su domande che si basano su convenzioni non ridotte in iscritto o per le quali non siano enunciati titoli registrati, si applica, oltre alla tassa dovuta sulla sentenza, anche la tassa alla quale la convenzione avrebbe dovuto assoggettarsi secondo la sua natura, se fosse stata precedentemente registrata.
Ne consegue, da una parte, che l’incidenza del tributo è determinata dal tipo di rapporto negoziale che esso va a colpire, venendo ad esempio in rilievo, ove si tratti di compravendita, la disciplina dettata dall’art. 1475 c.c.; e, dall’altra, che la parte che abbia in concreto provveduto all’adempimento dell’obbligo fiscale in luogo di quella che vi era tenuta – o che essa ritiene esservi tenuta – deve far valere il suo diritto al rimborso proponendo una specifica domanda giudiziale, cosi da provocare il contraddittorio sull’obbligo e sui limiti del rimborso [Cassazione civile, sezione terza, sentenza del 1.4.2014, n. 7532].

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