Sinteticità come corretta proporzione tra complessità delle questioni e ampiezza dell’atto: condanna ex art. 96 per l’appello scritto in modo confuso, con riferimenti normativi e giurisprudenziali non supportati da concreti elementi probatori  

La Corte reputa sussistenti i presupposti ex art. 96 c.p.c. quanto agli impugnanti, nella misura pari a quella liquidata per le spese processuali, sulla base delle seguenti considerazioni. I motivi di gravame sono tutti caratterizzati da una tecnica redazionale particolarmente confusoria, che impinge nell’inammissibilità ex art. 342 c.p.c.. Tale è il risultato di riferimenti normativi e giurisprudenziali, non supportati da concreti elementi probatori, indispensabili in una materia, quale quella bancaria, che necessita del puntuale e rigoroso esame delle condizioni contrattuali di cui ai contratti impugnati. Né il richiamo ad un elaborato peritale può essere sufficiente ad integrare la critica alla motivazione della sentenza di primo grado, perché si tratta non solo di elaborato non aggiornato, ma neppure spiegato in merito ai risultati che vengono esposti con meri richiami. Si precisa altresì che quanto, in particolare, alla tecnica redazionale, il tema della sintesi, con la predilezione di un abstract delle argomentazioni, è un tema assolutamente all’avanguardia, come emerge anche dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui “l’essenza della sinteticità, prescritta dal codice di rito, non risiede nel numero delle pagine o delle righe in ogni pagina, ma nella proporzione tra la molteplicità e la complessità delle questioni dibattute e l’ampiezza dell’atto che le veicola. La sinteticità è, cioè, un concetto di relazione, che esprime una corretta proporzione tra due grandezze, la mole, da un lato, delle questioni da esaminare e, dall’altro, la consistenza dell’atto – ricorso, memoria o, infine, sentenza – chiamato ad esaminarle”. Il rispetto dei predetti canoni risponde non solo ad un’esigenza di chiarezza e di lealtà processuale da indirizzare verso le controparti ed i giudici, ma anche ad un’esigenza pubblicistica di non abusare del sistema giustizia, le cui risorse non sono illimitate.

Corte di appello di Milano, sentenza del 5.12.2022