Sentenza Petruzzelli, tutte le (dirimenti) questioni processuali: azione popolare (natura, presupposti, procedibilità) e giurisdizione (giudice ordinario ed amministrativo, riproposizione della domanda, domande nuove e inammissibili)
L’azione popolare c.d. sostitutiva/suppletiva di cui all’art. 9 legge n. 267/2000 costituisce un’ipotesi tipizzata di sostituzione processuale ai sensi dell’art. 81 c.p.c., in virtù della quale, in deroga al principio generale di cui all’art. 100 c.p.c., si consente a ciascun elettore di far valere in giudizio le azioni ed i ricorsi che spetterebbero al Comune ed alla Provincia (oggi Città Metropolitana), che sono peraltro litisconsorti necessari nel relativo giudizio con necessità di integrazione obbligatoria del contraddittorio a norma dell’art. 102 c.p.c.
Con riferimento all’azione popolare di cui all’art. 9 legge n. 267/2000 (premesso che l’art. 9 del T.U.E.L., a differenza del previgente art. 7 legge n. 142/90, consente di far valere le azioni di spettanza comunale e provinciale non più solo dinanzi alle giurisdizioni amministrative), va ritenuto che possa rientrare nei confini della giurisdizione ordinaria la domanda destinata ad ottenere una pronuncia di accertamento e declaratoria della piena proprietà (diritto soggettivo perfetto) da parte di un Comune di un edificio (nella specie il Teatro Petruzzelli), e su tutto quanto insiste sull’area su cui è stato realizzato, previo accertamento e declaratoria dell’inesistenza, nullità, inefficacia o scadenza di una concessione di uso in perpetuo; discorso non dissimile può farsi con riferimento alla domanda volta ad ottenere l’annullamento e la declaratoria di nullità di alcuni protocolli di intesa sulla cui natura giuridica privatistica si siano già espressa la giurisprudenza.
Con riferimento all’azione popolare c.d. sostitutiva/suppletiva di cui all’art. 9 legge n. 267/2000:
– la giurisprudenza amministrativa ha escluso che possa avere anche carattere correttivo (nel senso che l’elettore può sostituirsi al Comune o alla Provincia contro un soggetto terzo, ma non può agire contro l’ente territoriale per rimuovere errori o irregolarità eventualmente commessi dallo stesso in danno dell’interesse collettivo, e neppure può costituirsi in giudizio per resistere contro azioni o ricorsi intentati da terzi soggetti contro l’ente stesso);
– presupposto per l’attivazione di tale rimedio è dato dall’inerzia dell’ente (ovvero dal fatto che Comune e Provincia abbiano omesso di esercitare i ricorsi o le azioni che competevano loro) con la conseguente attribuzione al cittadino elettore di una legittimazione speciale che, pur non essendo fondata sulla titolarità propria e diretta di una posizione giuridica, costituisce tuttavia un titolo autonomo fondato solo sulla previsione di legge e sul presupposto (l’essere cittadino elettore) da essa previsto per adire il giudice;
– seguendo la tradizionale distinzione relativa agli accertamenti preliminari volti a verificare la fondatezza della domanda, la qualifica di cittadino elettore dovrà senza dubbio considerarsi un presupposto processuale (che è necessario sussista già al momento della proposizione della domanda), mentre l’inerzia dell’ente locale andrà inquadrata tra le condizioni dell’azione che è sufficiente sussistano al momento della decisione;
– la giurisprudenza amministrativa ha individuato come ulteriori limiti all’esperimento dell’azione in parola l’impossibilità di surroga per azioni volte all’accertamento di un danno erariale; la necessaria sussistenza di un serio e fondato motivo alla base della sostituzione; l’inammissibilità nei casi in cui l’ente abbia espressamente manifestato una volontà contraria rispetto alla proposizione del ricorso nonché nei casi in cui si sia in presenza di un’attività amministrativa differente rispetto alle aspettative dei cittadini interessati, poiché diversamente potrebbe configurarsi un vulnus del principio democratico rappresentativo.
Con riferimento all’azione popolare, venuta meno la situazione di inerzia dell’ente, a prescindere da ogni considerazione sulla regolarità e legittimità dell’atto adottato (nella specie delibera del consiglio comunale), la proposta azione popolare diviene improcedibile (argomentando ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. c) C.P.A., stante il sopravvenuto venir meno di una condizione dell’azione al momento della decisione).
In caso di riproposizione in sede ordinaria del giudizio amministrativo definito con sentenza declinatoria della giurisdizione (indicando nel giudice ordinario l’autorità nazionale munita di giurisdizione), con riferimento alla proposizione dell’eccezione di difetto di giurisdizione (in favore del giudice amministrativo) deve ritenersi ormai preclusa ogni ulteriore delibazione qualora l’originaria sentenza amministrativa sia divenuta definitiva per mancata impugnazione, in mancanza di proposizione del regolamento preventivo ai sensi dell’art. 41 c.p.c. né avendo ritenuto il giudice ordinario di sollevare il conflitto ai sensi dell’art. 59, comma 3 della legge n. 69/2009, strumento officioso può essere attivato non oltre la prima udienza fissata per la trattazione del merito.
Qualora un giudice abbia declinato la propria giurisdizione, l’atto che determina la prosecuzione del giudizio va diversamente regolato a seconda che debba essere proposto davanti ad un giudice la cui giurisdizione abbia o meno le medesime caratteristiche della prima. Pertanto, ove si passi da un giudizio di tipo prevalentemente impugnatorio ad un giudizio esclusivamente di cognizione sul rapporto, o viceversa, l’atto di prosecuzione deve avere la forma di una riproposizione della domanda, stante il necessario adattamento del petitum; qualora, invece, il giudizio prosegua verso un giudizio con le medesime caratteristiche, l’atto di prosecuzione assume la forma di un atto di riassunzione, regolato dall’art. 125-bis disp. att. c.p.c.. Dalla distinzione tra riassunzione e riproposizione deriva l’ulteriore conseguenza che, in tale seconda ipotesi, è dunque praticabile un adattamento del petitum, ma pur sempre rispettando le modalità e le forme previste per il giudizio dinanzi al nuovo giudice adìto, e soprattutto nei limiti della emendatio libelli.
Qualora, pur muovendo dalla medesima vicenda storico-fattuale, tra le domande spiegate nel giudizio innanzi al giudice amministrativo e quelle al giudice ordinario (in seguito alla riproposizione del giudizio conseguente alla declaratoria di giurisdizione del giudice amministrativo originariamente adito) vi sia una discrasia della causa petendi e più in generale degli elementi identificativi delle azioni sottostanti, fondate su presupposti e titoli di responsabilità differenti, va dichiarata l’inammissibilità di queste ultime.
Quanto al sindacato ed ai poteri del giudice ordinario rispetto agli atti amministrativi aventi valore provvedimentale ovvero emessi nell’esercizio di poteri autoritativi conferiti dalla legge sebbene ne venga dedotta l’illegittimità vanno confermati i seguenti principi cardine:
– al giudice ordinario è precluso in radice di annullare e/o revocare, in tutto o in parte, un atto amministrativo, in quanto detto potere è riservato al sindacato demolitorio del giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva ovvero in ossequio ai già illustrati criteri di riparto;
– il giudice ordinario ha tuttavia un potere di accertamento incidentale limitato alla sola esistenza di tale atto, e può disapplicarlo laddove sia illegittimo e nei soli casi in cui venga in rilievo, non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio, bensì come mero antecedente logico, sicché la questione venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico;
– detto potere disapplicativo può essere esercitato esclusivamente nei giudizi tra privati e non in quelli in cui sia parte una P.A..
Tribunale di Bari, sezione prima civile, sentenza del n. 1456 del 28.3.2019 [Giuseppe MARSEGLIA]