Rito del lavoro: quali conseguenze per il mancato deposito o l’omessa indicazione dei documenti nell’atto introduttivo (o nella memoria difensiva del convenuto)?

Va dato seguito al principio secondo cui il combinato disposto dell’art. 416 c.p.c., comma 3 e dell’art. 437 c.p.c., comma 2, deve essere interpretato nel senso che nel rito del lavoro l’omessa indicazione nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ovvero nella memoria difensiva del convenuto, dei documenti, nonchè il loro mancato deposito unitamente a detti atti, anche se in questi espressamente indicati, determinano la decadenza dal diritto alla produzione dei documenti stessi, con impossibilità della sua reviviscenza in un successivo grado di giudizio, evidenziandosi, però, che, in materia, deve comunque tenersi conto del potere istruttorio d’ufficio del giudice di cui all’art. 421 cod. proc. civ. (e, in appello, previsto dall’art. 437 c.p.c., comma 2), onde la suddetta preclusione (riguardante sia le prove costituende che quelle precostituite) può essere superata solo nel caso in cui il giudice del rito del lavoro, sulla base di un potere discrezionale, non valutabile in sede di legittimità, ritenga tali mezzi di prova, non indicati dalle parti tempestivamente, comunque ammissibili perchè rilevanti ed indispensabili ai fini della decisione nel giudizio di secondo grado [Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza del 15.7.2015, n. 14820].