Risarcimento del danno da inadempimento di obbligazione non avente sin dall’inizio per oggetto una somma di denaro: sì al cumulo congiunto.

L’obbligazione di risarcimento del danno, ancorché derivante da inadempimento contrattuale, configura un debito di valore, in quanto diretta a reintegrare completamente il patrimonio del danneggiato; resta dunque sottratta al principio nominalistico, e nella quantificazione deve tenersi conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione.
Relativamente al calcolo degli interessi sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno da inadempimento di obbligazione non avente sin dall’inizio per oggetto una somma di denaro, il criterio preferenziale indicato dalla giurisprudenza è il medesimo utilizzato per il danno da illecito aquiliano; perciò il ristoro del pregiudizio derivante dal ritardo nella reintegrazione del patrimonio del danneggiato va determinato computando gli interessi prima sull’importo originariamente dovuto e quindi sui progressivi adeguamenti del medesimo, in corrispondenza della sopravvenuta inflazione secondo cadenze temporali fisse. Viene quindi accolto, in linea con la giurisprudenza prevalente, il c.d. metodo del “cumulo congiunto”, in base al quale gli interessi legali vanno calcolati sulla somma capitale via via rivalutata su base periodica, in base agli indici di svalutazione [Tribunale di Treviso, sezione terza, sentenza del 12.11.2013].

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