Residenza, nozione

Devono enunciarsi i seguenti principi di diritto:

–        secondo la previsione dell’art. 43 c.c., la nozione di residenza di una persona – rilevante non solo ai fini della sua conservazione, ma anche per ottenere per la prima volta l’iscrizione nelle liste anagrafiche di un determinato comune – è determinata dall’abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per la permanenza in tale luogo per un periodo prolungato apprezzabile, anche se non necessariamente prevalente sotto un profilo quantitativo (c.d. elemento oggettivo), e dall’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali, familiari, affettive (c.d. elemento soggettivo). Tale stabile permanenza sussiste anche quando una persona lavori o svolga altra attività fuori del comune di residenza, purchè torni presso la propria abitazione abitualmente, in modo sistematico, una volta assolti i propri impegni (lavorativi o di studi) e sempre che mantenga ivi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali;

–        la verifica della sussistenza del requisito della dimora abituale in capo a chi richiede l’iscrizione anagrafica in un comune, prevista dalla legge al D.P.R. n. 223 del 1989, art. 19 deve avvenire, da parte degli organi a ciò preposti, con modalità concrete che, pur non previamente concordate, si concilino con l’esigenza di ogni cittadino di poter attendere quotidianamente alle proprie occupazioni, in virtù del principio di leale collaborazione tra soggetto pubblico e privato, con l’onere in capo al richiedente la residenza di indicare, fornendone adeguata motivazione, i periodi in cui sarà certa la sua assenza dalla propria abitazione, in modo tale da consentire al Comune di concentrare e programmare i propri controlli in quelli residui”.

Cassazione civile, sezione prima, ordinanza del 15.2.2021, n. 3841