Rappresentanza processuale volontaria e difetto della legittimatio ad processum, conseguenze

La rappresentanza processuale volontaria può essere conferita soltanto a chi sia investito di un potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, come si evince dall’art. 77 c.p.c., il quale menziona, come possibili destinatari dell’investitura processuale, soltanto il “procuratore generale e quello preposto a determinati affari. L’inosservanza dell’art. 77 c.p.c. comporta il difetto della “legittimatio ad processum” in capo al rappresentante – esclusivamente – processuale e dunque la nullità della procura alle liti ed il difetto di ius postulandi in capo al difensore officiato dal rappresentante meramente processuale ed ulteriormente l’invalida costituzione del rapporto processuale.

L’accertamento relativo alla “legittimatio ad processum” del rappresentante – attenendo alla verifica della regolare costituzione del rapporto processuale – può essere effettuato anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto. Il giudicato interno si determina allorchè la carenza del potere rappresentativo sia stata appositamente denunciata e quindi sia stata espressamente negata dal giudice di merito ovvero sia rimasta senza esplicita risposta e tale omessa pronuncia non sia stata poi oggetto di appello.

 

 Cassazione civile, sezione seconda, sentenza del 14.9.2017, n. 21307