Nuovo appello, tecnica redazionale alla luce del termine “motivazione”

Sul piano della tecnica redazionale, il termine “motivazione”, tipicodel provvedimento pubblico, in luogo di “esposizione” ovvero di “argomentazione”, segnala il distacco concettuale tra le confutazioni dell’atto di appello anteriori e successive alla modifica normativa di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. c bis), convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. Infatti, a norma del novellato art. 434 c.p.c., i requisiti di contenuto che la “motivazione” delle censure deve contenere per sottrarsi alla sanzione di inammissibilità, consistono in tre punti essenziali: a) delimitazione dell’oggetto del giudizio di secondo grado (“indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare”) onde consentire l’immediata verifica della formazione del giudicato in relazione a quelle parti della sentenza che non hanno costituito oggetto di gravame; b) proposizione di una nuova e diversa ricostruzione del fatto rispetto a quella compiuta dal giudice di primo grado, a sua volta scindibile in due momenti logicamente distinti: una (normativamente inespressa) pars destruens della pronuncia oggetto di gravame, volta a demolire la falsa rappresentazione della realtà sulla quale essa è stata fondata; l’altra pars construens, contenente un progetto alternativo di risoluzione della controversia, attraverso una diversa lettura del materiale di prova acquisito o acquisibile al giudizio, nei limiti consentiti in grado di appello, e previa indicazione della sua effettiva rilevanza ai fini del decidere; c) l’indicazione delle norme di diritto violate o falsamente applicate e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

 

Cassazione civile, sezione terza, sentenza del 4.4.2017, n. 8666