Negoziazione assistita c.d. familiare: per concludere l’accordo di separazione personale il coniuge non può assistersi in proprio in qualità di avvocato

Va dichiarata inammissibile l’istanza per autorizzarsi l’accordo di separazione personale raggiunto a seguito di negoziazione assistita raggiunto da due coniugi, uno dei quali assistito in proprio rivestendo egli la qualità di Avvocato. L’avvocato ricopre un ruolo necessariamente tecnico e decisamente protagonistico, frutto del principio per il quale nessuna parte può negoziare da sola con l’altra necessitando invece entrambe di un’assistenza specialistica in grado di confrontarsi vicendevolmente in vista di un possibile e comune risultato, con la conseguenza che la medesima garanzia offerta al procedimento di negoziazione dal dualismo di posizioni tecniche delle parti deve essere parimenti richiesta quanto al rapporto tra la parte e il proprio avvocato assistente, nel senso che resta preclusa, giacché incompatibile, nella specie una gestione autoassistenziale della parte che sia anche avvocato ai sensi dell’art. 86 c.p.c. (norma che appare confezionata per i procedimenti in cui sul ruolo della difesa si erge quello di un giudice con carattere di terzietà decisoria). La ratio della norma sul rito negoziatorio in materia familiare è assicurare immunità gestionale dell’avvocato rispetto al coinvolgimento emotivo e d’interesse dei due coniugi: l’identificazione nel medesimo soggetto della titolarità degli interessi da negoziare e dell’impegno a condurre sul piano tecnico le trattative rischierebbe di trasferire sul piano negoziale aspetti e implicazioni tipici del piano coniugale, frustrando proprio la ragione primigenia della negoziazione tra tecnici esterni.

Procura della Repubblica di Palermo, 25.3.2016