Modalità di attuazione di una misura cautelare, strumenti di tutela

Non è corretto in diritto l’assunto secondo cui la scelta delle modalità di attuazione di una misura cautelare avente ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare sarebbe rimessa al beneficiario del provvedimento d’urgenza, che potrebbe optare tra il procedimento dell’art. 669 duodecies c.p.c e le procedure esecutive ordinarie. La norma dell’art. 669 duodecies c.p.c., individua infatti nel giudice che ha emanato il provvedimento cautelare avente ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, l’unico giudice competente a controllarne l’attuazione, sicchè è precluso al beneficiario del provvedimento il ricorso alle procedure esecutive ordinarie di cui agli artt. 605 e segg. (per gli obblighi di consegna e rilascio) ed agli artt. 612 e segg. (per gli obblighi di fare e non fare). Ne consegue che in materia di attuazione delle misure cautelari, anche la contestazione della parte tenuta all’osservanza di un provvedimento d’urgenza, con la quale si lamenta che il beneficiario non avrebbe osservato la norma dall’art. 669 duodecies c.p.c., ed avrebbe proceduto all’attuazione della misura con atti o modalità irregolari, si propone al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, mentre è inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi.

Massime rilevanti:

L’attuazione di misure cautelari, aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, non avvia un separato procedimento di esecuzione ma costituisce una fase del procedimento cautelare in cui il giudice (da intendersi come ufficio), che ha emanato il provvedimento cautelare, ne determina anche le modalità di attuazione, risolvendo con ordinanza le difficoltà e le contestazioni sorte (così, da ultimo, Cass. n. 15761/14).

Cassazione civile, sezione terza, sentenza del 19.10.2016, n. 21062

…omissis…

Col primo motivo del ricorso si deduce che erra l’impugnata sentenza “laddove giudica inapplicabile al caso di specie l’art. 617 c.p.c., ritenendo che per le osservazioni e/o contestazioni in ordine all’esecuzione debba farsi ricorso al rimedio di cui all’art. 669 duodecies c.p.c.”. Sostengono i ricorrenti che, nel momento in cui l’esecutante ha scelto di notificare un atto di precetto, avrebbe manifestato la volontà di seguire la procedura dell’art. 612 c.p.c., anzichè quella prevista dall’art. 669 duodecies c.p.c., con la conseguenza che tutta l’attività successiva avrebbe dovuto essere disciplinata dagli artt. 612 c.p.c. e segg., ivi compreso l’art. 617 c.p.c.. Aggiungono che l’esecutante avrebbe agito senza nemmeno rispettare l’art. 669 duodecies c.p.c., poichè non ha richiesto al giudice della cautela di fissare le modalità di attuazione del provvedimento, ma ha stabilito “personalmente ed arbitrariamente” la data dell’accesso.

Il motivo non merita di essere accolto.

Il giudice di merito ha deciso la questione posta dall’opposizione in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, per la quale l’attuazione di misure cautelari, aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, non avvia un separato procedimento di esecuzione ma costituisce una fase del procedimento cautelare in cui il giudice (da intendersi come ufficio), che ha emanato il provvedimento cautelare, ne determina anche le modalità di attuazione, risolvendo con ordinanza le difficoltà e le contestazioni sorte (così, da ultimo, Cass. n. 15761/14).

L’esame del motivo non offre elementi per mutare questo orientamento.

In primo luogo, non è affatto decisivo che la parte qui resistente avesse intimato un precetto, così dando ad intendere – come sostengono i ricorrenti – che stesse procedendo secondo le disposizioni degli artt. 612 c.p.c. e segg..

Ed invero – sebbene sia stato affermato da una giurisprudenza di merito, richiamata in ricorso – non è corretto in diritto l’assunto secondo cui la scelta delle modalità di attuazione di una misura cautelare avente ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare sarebbe rimessa al beneficiario del provvedimento d’urgenza, che potrebbe optare tra il procedimento dell’art. 669 duodecies c.p.c e le procedure esecutive ordinarie.

La norma dell’art. 669 duodecies c.p.c., individua nel giudice che ha emanato il provvedimento cautelare avente ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, l’unico giudice competente a controllarne l’attuazione, sicchè è precluso al beneficiario del provvedimento il ricorso alle procedure esecutive ordinarie di cui agli artt. 605 e segg. (per gli obblighi di consegna e rilascio) ed agli artt. 612 e segg. (per gli obblighi di fare e non fare).

Quanto alla contestazione dei ricorrenti, secondo cui il T. avrebbe proceduto in violazione dell’art. 669 duodecies c.p.c., perchè ha fissato “arbitrariamente” tempi e modalità dell’accesso, genericamente disposto con l’ordinanza di urgenza ex art. 700 c.p.c., essa attiene alla regolarità formale del procedimento di attuazione della misura. Dato quanto sopra, avrebbe dovuto essere rivolta al giudice competente a risolvere tutte le contestazioni riguardanti questa attuazione.

Corollario dell’orientamento giurisprudenziale sopra ribadito, è che, in materia di attuazione delle misure cautelari, anche la contestazione della parte tenuta all’osservanza di un provvedimento d’urgenza, con la quale si lamenta che il beneficiario non avrebbe osservato la norma dall’art. 669 duodecies c.p.c., ed avrebbe proceduto all’attuazione della misura con atti o modalità irregolari, si propone al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, mentre è inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi.

In conclusione, il primo motivo di ricorso, che è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, va rigettato (cfr. Cass. S.U. n. 19051/10).

Col secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 91 c.p.c. e/o D.P.R. n. 115 del 2002 art. 107. I ricorrenti deducono che il giudice a quo avrebbe dovuto quanto meno compensare le spese, tenuto conto del comportamento delle parti e/o del contenuto sostanziale delle difese e/o dell’ammissione degli opponenti al gratuito patrocinio.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

E’ inammissibile per la parte in cui lamenta la mancata compensazione delle spese ai sensi dell’art. 92 c.p.c., dal momento che, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. S.U. n. 14989/05 e numerose altre). Trattasi di principio applicabile pure dopo le modifiche dell’art. 92 c.p.c., comma 2, perchè l’obbligo di motivazione imposto da questa norma riguarda l’ipotesi in cui la compensazione sia disposta ma non anche l’ipotesi in cui si segua il principio della soccombenza (che l’art. 91 c.p.c., pone come regola in tema di riparto delle spese di lite, essendo la compensazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, prevista come eccezione). Poichè nella specie il giudice ha osservato l’art. 91 c.p.c., è inammissibile la censura che si basa su norma non applicata, e soltanto discrezionalmente applicabile.

Il motivo è infondato per la parte in cui richiama del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 107. Sebbene questa norma preveda che, in caso di ammissione al gratuito patrocinio, siano anticipati dall’erario, tra l’altro, “f) l’onorario e le spese dell’avvocato”, essa è da intendersi riferita soltanto alle spese legali sopportate per la propria difesa in giudizio dalla parte ammessa al gratuito patrocinio.

Nulla dispone la norma richiamata a proposito delle spese da rimborsare alla controparte. Queste vanno riconosciute a carico della parte ammessa al gratuito patrocinio in caso di soccombenza, in applicazione della regola dell’art. 91 c.p.c., che non trova deroga alcuna nelle norme del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Avuto riguardo al fatto che il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

pqm

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore del resistente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida nell’importo complessivo di Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.