L’onere di contestazione (specifica e tempestiva) nel rito del lavoro

Se il convenuto contesta, senza però fornire una ricostruzione dei fatti idonea a contrastare quella della parte ricorrente, o se lo fa in modo del tutto contraddittorio con affermazioni del tutto illogiche, se non addirittura impossibili, ovvero documentalmente smentite, si è in presenza di una situazione equiparabile alla mancata contestazione prevista dall’art. 416 comma 3 c.p.c. Difatti, se fosse sufficiente una contestazione generica non opererebbe l’onere di contestazione tempestiva, onere sul quale invece si fonda tutto il sistema processuale, al di là dell’art. 167 c.p.c. per il rito ordinario e dell’art. 416 per il processo del lavoro, e che ha trovato definitiva consacrazione nell’art. 115 c.p.c. per i giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69. In sintesi, la contestazione del convenuto, per essere rilevante – cioè per evitare l’effetto di rendere i fatti costitutivi allegati estranei alla materia del contendere ed al conseguente potere di accertamento del giudice – non deve essere generica, cioè concretizzarsi in formule di stile, in espressioni apodittiche o in asserzioni meramente negative, ma deve essere puntuale, circostanziata, dettagliata ed omnicomprensiva delle circostanze sulle quali viene chiesta l’ammissione della prova. Si noti che anche il silenzio di una parte sui fatti allegati dall’altra, non è scevro di conseguenze, dati gli effetti del principio di non contestazione (tempestiva e specifica), nel frattempo codificato con efficacia non più limitata alle controversie di lavoro a seguito della modifica dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ., nel testo introdotto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69. E che detto regime di allegazione è inderogabile, in quanto il processo civile di cognizione si fonda su preclusioni rigide che non possono essere modificate su accordo delle parti, nemmeno con il consenso del giudice, posto che l’interesse sotteso non è di natura privatistica bensì ha carattere pubblicistico, in quanto condiziona il celere e regolare andamento del processo, funzionale al raggiungimento del principio costituzionale della sua ragionevole durata (art. 111 Cost.). Con la conseguenza che deve ritenersi tardiva la contestazione successiva come quella contenuta per la prima volta nelle note difensive autorizzate prima della discussione della parte convenuta.

NDR: in argomento si veda Cass. 22866/2013.

Tribunale di Roma, sentenza del 10.11.2020