Locazione e Covid, un altro no all’obbligo di rinegoziazione perché la buona fede integrativa rischia di ledere l’autonomia contrattuale (IL ≥ IR).
Si evidenzia come la normativa emergenziale derivante dalla diffusione del COVID 19 abbia configurato la possibilità di “rinegoziazione” dei contratti soltanto con riferimento a specifici settori economici, così come si ricava, a titolo esemplificativo, dall’art. 216, 1 c. 2 c. del c.d. Decreto Rilancio in ordine al comparto sportivo, fermo il principio per cui, ai sensi dell’art. 91 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 (Decreto Cura Italia) e successive modifiche “il rispetto delle misure di contenimento (…) è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli affetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Corollario ne è che il Tribunale, in assenza di copertura normativa o di clausole pattizie che prevedano l’obbligo di rinegoziazione a carico delle parti, da cui si desuma almeno il criterio di riparto dei relativi rischi, non può fare applicazione del c.d. criterio della buona fede integrativa al fine di addivenire a una rimodulazione degli obblighi negoziali a carico dei contraenti, salvo incorrere nella violazione dell’autonomia contrattuale delle parti, costituente limite insuperabile anche per il giudice.