Le varie espressioni utilizzate dalla fantasia degli interpreti per descrivere il danno non patrimoniale non hanno dignità scientifica: la Cassazione chiarisce

Le varie espressioni coniate in tema di danno non patrimoniale dalla fantasia di taluni interpreti, e talora non rifiutate da questa Corte (“danno terminale”, “danno tanatologico”, “danno catastrofale”, “danno esistenziale”), non hanno alcuna dignità scientifica; sono usate in modo polisemico; sono talora anche etimologicamente scorrette (come l’espressione “danno tanatologico”).

Le espressioni “danno terminale”, “danno tanatologico”, “danno catastrofale” non corrispondono ad alcuna categoria giuridica, ma possono avere al massimo un valore descrittivo, e neanche preciso;

-il danno da invalidità temporanea patito da chi sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale è un danno biologico, da accertare con gli ordinari criteri della medicina legale, e da liquidare avendo riguardo alle specificità del caso concreto;

-la formido mortis patita da chi, cosciente e consapevole, sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale, è un danno non patrimoniale, da accertare con gli ordinari mezzi di prova, e da liquidare in via equitativa avendo riguardo alle specificità del caso concreto.

 

 

Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza del 13.12.2018, n. 32372