Le domande nuove ammesse nel rito societario e nel processo ordinario

Con riferimento alla speciale disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 6, comma 2, lett. a), vigente ratione temporis, secondo cui la proposizione della nuova domanda deve essere “conseguenza (…) delle difese proposte dal convenuto” sembra abbastanza evidente che il legislatore, con tale ampia espressione abbia inteso ricomprendere ogni possibile articolazione delle deduzioni difensive della parte, includendovi sia le eccezioni, in senso stretto o in senso lato (e quindi ogni ampliamento del thema decidendum attuato attraverso l’allegazione di fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto azionato), sia le mere difese (e quindi le contestazioni in fatto e le semplici confutazioni in diritto delle avverse proposizioni). Una tale conclusione può ricavarsi anche dal raffronto della suddetta previsione dell’art. 6, comma 2, lett. a) cit. con quella di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5, oggi vigente (previsione coincidente con quella di cui all’art. 183 c.p.c., comma 4, nel periodo che precede le modifiche apportate al detto articolo con D.L. n. 35 del 2005, convertito in L. n. 80 del 2005). Infatti, la norma codicistica, a differenza di quella operante per il c.d. rito societario, consente di avanzare nuove domande solo in presenza della proposizione, da parte del convenuto, di domande riconvenzionali e di “eccezioni”: non menziona, quindi, le semplici difese. Proprio il richiamo, da parte della norma speciale, alle semplici difese lascia intendere che il potere dell’attore di introdurre in giudizio domande nuove possa trarre origine, nel rito societario, da qualsiasi deduzione che il convenuto formuli in chiave difensiva (e quindi, nella specie, anche dal prospettato difetto di legittimazione passiva della banca nell’azione di nullità contro di essa proposta dall’odierno ricorrente).

 

Cassazione civile, sezione prima, sentenza del 3.1.2017, n. 29