L’art. 96 c.p.c. ha funzione parzialmente riparatoria

Alla previsione dell’art. 96 c.p.c. (di non agevole interpretazione) è sottesa una ratio parzialmente diversa rispetto a quella evidenziata dal primo comma, palesando essa una finalità squisitamente sanzionatoria, assente o comunque recessiva nell’ambito dell’altra (cfr. Corte Costituzionale, 23 giugno 2016, n. 152). Ciò emerge dalla premessa (“in ogni caso”) valutata unitamente al potere riconosciuto al giudice di condannare la parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della parte vincitrice anche in assenza di sua specifica domanda. Essa si colloca nell’ambito di quegli interventi a vocazione deflattiva, volti a ridurre l’attuale insostenibile contenzioso civile, che si sono succeduti con le riforme degli ultimi venti anni (v. anche in materia di spese processuali l’art. 385, IV comma, c.p.c.). Una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 96, comma III, c.p.c. scoraggia le iniziative o le resistenze giudiziali che non hanno ragione di essere e può fungere quale presidio di tutela del principio di ragionevole durata del processo sancito dall’art. 111 Costituzione.

Non può omettersi di considerare, tuttavia, che la norma conserva, in parte e necessariamente, anche una finalità riparatoria, altrimenti non sarebbe razionalmente del tutto giustificabile che il giudice condannasse, anche d’ufficio, il soccombente al pagamento di una somma in favore della controparte, invece che dello Stato. Sembra pertanto che il legislatore con l’introduzione della disposizione in esame, abbia inteso innovare la regolamentazione delle fattispecie processuali connotate da temerarietà sotto un duplice profilo: da un lato (come si evince dall’espressione “in ogni caso”) superando le difficoltà che hanno sempre posto all’istante il 1 e 2 comma, come interpretate dalla costante giurisprudenza di legittimità, ovvero quella di fornire la prova rigorosa dell’effettivo danno riportato dalla lite temeraria nei casi in cui non sia possibile provare e/o individuare un quantum di risarcimento. D’altro lato la norma sembra tipizzare ex art. 2059 c.c. anche una fattispecie di danno non patrimoniale punitivo da abuso del processo, ulteriore rispetto ai danni patrimoniali e non patrimoniali risarcibili ai sensi dei commi I e II secondo gli ordinari criteri della responsabilità aquiliana. Senza mancare di considerare che i costi che la parte deve sostenere non corrispondono mai esattamente ed integralmente a quanto oggetto della condanna del soccombente. Se la tutela contro tali effetti collaterali del processo, nel bilanciamento degli opposti interessi, è recessiva al cospetto dell’esercizio del diritto fondamentale di difesa ex art. 24 cost. da parte del soccombente incolpevole o che agisca anche con colpa lieve, essa assume invece rilevanza ex se, anche a fini risarcitori – appare questa la ratio della disposizione di cui al terzo comma dell’art. 96 – di fronte alle iniziative o alle resistenze processuali abusive, coltivate con mala fede o colpa grave, che per questo non rappresentano esercizio del diritto di difesa, ma mere attività ostruzionistiche, dilatorie o poste in essere con sviamento delle prerogative difensive. Senza mancare di considerare che un processo introdotto a causa di un’iniziativa o di una resistenza temeraria è un processo la cui esistenza e la cui integrale durata è ontologicamente irragionevole ai sensi dell’art. 6 della Convenzione Europea per i diritti dell’Uomo e dell’art. 111 cost 

 

Tribunale di Macerata, sentenza del 6.3.2018