L’art. 12 preleggi vieta la giurisprudenza creativa senza copertura normativa: la presunta lacuna legislativa è, invece, una scelta precisa del Legislatore

Se le aziende di credito hanno storicamente avuto il merito di consentire il decollo dell’economia moderna, a questa funzione non possono e non debbono abdicare, dovendo continuare a perseguirla a condizione che le aspettative di profitto che esse legittimamente coltivano, in conformità alla natura loro riconosciuta dagli artt.2082 e 2195 cod.civ., siano contemperate dal rispetto della cornice normativa di disciplina dettata per indirizzarne la attività a fini sociali, ai sensi degli artt.47 comma 1 e 41 della Costituzione.

In attuazione dei suddetti principi costituzionali sono stati varati sia il D.Lgs. n. 385 del 1993 che la L. n. 108 del 1996, quest’ultima finalizzata a contrastare la più pericolosa delle deviazioni funzionali da cui può essere affetta l’azienda di credito: quella di abdicare al ruolo di strumento di ausilio alla crescita economica per divenire puro centro di potere finanziario, finanche complice di turpi commerci diretti ad ostacolare quella crescita economica che la fedeltà alla Costituzione impone invece di perseguire.

E’ questa la c.d. interpretazione costituzionalmente orientata che consente di armonizzare il dettato normativo di cui all’art.117 comma 7 del D.Lgs. n. 385 del 1993 con i principi della Carta Fondamentale della Repubblica, individuando nelle “operazioni attive” quelle poste in essere con profitto dal soggetto attivo dell’attività bancaria, ovverosia l’azienda di credito, che ne risulti all’esito creditore; e nelle “operazioni passive” quelle in cui il predetto soggetto attivo risulti debitore.

Dichiarata la nullità della clausola di cui all’art.7 comma 3 del contratto di conto corrente, gli interessi passivi dovuti dal correntista – e dai di lui fideiussori – saranno determinati sulla scorta dal saggio legale e, successivamente al 09-07-1992 – data di entrata in vigore della L. n. 154 del 1992 -, in forza dei criteri dettati dalla L. n. 154 del 1992 prima e dal D.Lgs. n. 385 del 1993 poi, nella misura del tasso nominale massimo dei B.O.T. computato nei dodici mesi anteriori alla conclusione del contratto.

 

Il Tribunale non ignora come parte della giurisprudenza di merito interpreti l’art.117 comma 7 D.Lgs. n. 385 del 1993 nel senso di variare il tasso dei B.O.T. così individuato secondo le periodiche rilevazioni trimestrali dei risultati della emissione del titolo.

 

In senso contrario occorre rilevare come ai sensi dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile (c.d. preleggi) “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro significato che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.”

Nell’art.117 comma 7 del D.Lgs. n. 385 del 1993 non vi è alcun argomento letterale sul quale fondare la interpretazione creativa attribuita dalla giurisprudenza, ed il silenzio tenuto al riguardo dal legislatore è indice univoco di contrarietà, in omaggio al brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

Il che esclude ogni ipotesi della c.d. interpretazione estensiva, atteso che non si tratta di estendere la portata precettiva della norma ad un caso che solo apparentemente ne sembra escluso, ma, piuttosto, di integrare la disciplina del medesimo caso contemplato con una regola aggiuntiva propria delle sentenze interpretative o additive della Corte Costituzionale.

Anche a prescindere da siffatte considerazioni, la avversata lettura potrebbe tuttavia avvenire soltanto a mezzo della c.d. interpretazione analogica, facendo ovverosia ricorso alla analogia legis, che rappresenta una forma di autointegrazione con cui l’ordinamento giuridico, in omaggio al dogma della completezza ed esaustività delle disposizioni normative vigenti, consente di applicare ad una fattispecie apparentemente priva di espressa disciplina una norma dettata in materia affine.

Il procedimento analogico è disciplinato dall’art. 12 comma 2 delle disposizioni preliminari al codice civile, il quale ne subordina l’applicazione ai soli casi in cui una controversia non possa essere decisa con una precisa disposizione, consentendo in tal caso l’applicabilità di disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe.

E’ così evidente come il ricorso all’interpretazione analogica possa avvenire solo come extrema ratio, quando una controversia non può in alcun modo trovare soluzione positiva per la esistenza di un vero e proprio vuoto normativo, mentre giammai potrà farvisi ricorso per una mera opzione ermeneutica e, meno che mai, per petizione di principio puramente ideologica.

Ed è altrettanto evidente come nella fattispecie non ricorrano i predetti estremi, avendo già il legislatore manifestato espressamente la sua volontà di ancorare il tasso sostitutivo a quello dei titoli di Stato come rilevato nei dodici mesi antecedenti alla conclusione del contratto, così ancorando il dato ad un periodo temporale che esclude ogni dubbio sulla voluntas legis.

 Non vi è pertanto alcuna esigenza di colmare ineliminabili vuoti normativi, non potendo questa ritenersi sussistente ogni qualvolta la parte riscontri l’assenza di una norma positiva che consenta di ritenere fondata la propria domanda, altrimenti, come ben si comprende, l’analogia legis verrebbe invocata in forma pressocchè generalizzata da tutti coloro i quali avanzino pretese non sorrette da una espressa disposizione normativa che ne coonesti la fondatezza ed accoglibilità, così trasformando surrettiziamente in una “lacuna normativa” quella che invece è null’altro che una precisa scelta del legislatore (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).

La chiarezza e non equivocità del dettato normativo, esclude pure il ricorso alla c.d. interpretazione teleologica, ammissibile solo in caso di palese contrasto tra il significato letterale manifestato dalle parole secondo la connessione di esse, ed il sistema normativo, e non nella diversa ipotesi in cui il predetto significato letterale tradisca le aspettative di tutela di determinati interessi ritenuti meritevoli sulla scorta di pur apprezzabili esigenze socialmente avvertite come tali.

Il che equivale a dire che non è dato attribuire ad una disposizione normativa un significato più ampio di quello legittimamente attribuibile in forza della interpretazione letterale al dichiarato fine di ampliarne l’ambito di operatività per ritenute prevalenti esigenze di tutela.

 

Tribunale di Taranto, sezione seconda, sentenza del 14.10.2019