L. 24/2017, responsabilità del medico, problemi tecnici di speciale difficoltà: non c’è colpa se si attiene a linee guida o buone pratiche. No alla giurisprudenza creativa
L’art. 2236 c.c. prevede che se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave. In epoca più recente, la giurisprudenza della S.C. ha svalutato alquanto la portata della norma, ritenendola implicante solamente una valutazione della colpa del professionista in relazione alle circostanze del caso concreto. Si tratta di un understatement che si iscrive nella diffusa ed ampia tendenza, espressa negli ultimi decenni, della S.C. ad aggravare sotto ogni profilo ed anche con estremizzazioni difficilmente condivisibili (di cui sono esempi la costruzione della responsabilità per c.d. contatto sociale, l’applicazione tutta particolare per la responsabilità medica dell’istituto del danno da perdita di chances etc.), la responsabilità del medico. Occorre, anche nello spirito riequilibratore operato dalla recente L. n. 24 del 2017, dare il corretto significato a tale norma che non è stata mai abrogata, pur avendo subito interpretazioni mutevoli ratione tempore. La parametrazione, disegnata sia pur timidamente nella predetta legge (agli artt. 5, 6, 7), della sussistenza o dell’intensità della colpa al rispetto o meno di linee guida e buone pratiche cliniche, consente di affermare il principio che non può ritenersi in colpa (da intendersi grave e quindi giuridicamente significativa) il medico che, in presenza (come in questo caso) di problemi tecnici di speciale difficoltà si sia attenuto alle linee guida o esse mancando, alle buone pratiche cliniche-assistenziali, quali che siano stati i risultati dell’intervento dal medesimo effettuato.
La Costituzione assegna al Supremo organo della giurisdizione ordinaria una funzione nomofilattica, ma non creativa.