Irregolarità in sede di vendita con incanto

Le irregolarità, che si verifichino in sede di vendita con incanto, o di gara conseguente ad offerta in aumento del sesto, a causa della commissione, con la partecipazione dell’aggiudicatario definitivo, dei reati di turbata libertà degli incanti o di astensione dagli incanti (artt. 353 e 354 c. p.), configurano vizi sostanziali di negozi processuali inerenti ad una fase del procedimento esecutivo che si chiude con l’ordinanza di aggiudicazione definitiva, e, quindi, vizi di legittimità di tale ultimo atto esecutivo, deducibili con il rimedio dell’opposizione avverso il medesimo atto esecutivo, a norma dell’art. 617 c.p.c.

 

Tribunale di Cassino, sentenza del 14.11.2016 

…omissis…

ddd e la coniuge Addd hanno convenuto innanzi a questo Tribunale I.ddd esponendo di aver sottoscritto un contratto preliminare di compravendita nel quale si pattuiva che, in caso di aggiudicazione per asta pubblica del terreno sito in C. loc. Sddd., identificato al catasto al f. ddddd una porzione di detto terreno pari a 400 mq “da staccarsi dalla zona di terreno sita alla sinistra della strada già esistente che serve di accesso ai fondi della sig.ra C. e di quelli già dei debitori esecutati”. Si prevedeva, inoltre, che le parti, per accedere ai fondi di loro proprietà, avrebbero continuato a servirsi della strada di accesso attualmente esistente, che si impegnavano a rendere bene comune, abolendo gli attuali vincoli reciproci di servitù. Per il caso di inadempimento, veniva pattuita la penale di Euro 25.822,82. Quale termine per la stipula veniva fissata la data del 30/06/2003. Il definitivo, però, non veniva stipulato, in quanto la convenuta, adducendo un personale impedimento, chiedeva di spostare detta data. Incaricava il marito di sottoscrivere un accordo con gli attori per individuare un nuovo termine, fissato al 31/03/2004. Nel gennaio 2004 gli attori venivano a conoscenza che i coniugi dddd nel frattempo, avevano iniziato alcuni lavori edilizi. La convenuta comunicava nuovamente di avere un impedimento alla stipula del definitivo, sicché veniva pattuito tra il marito e gli attori il nuovo termine del 31/12/2004. Nel luglio 2004 l’avv. Tddddsi accorgeva che, per effetto dei lavori intrapresi dalla convenuta, veniva illegittimamente ampliata la parte alta della strada sul lato sinistro in danno della porzione che avrebbe dovuto essere alienata allo stesso. Inoltrava, pertanto, delle formali diffide per ottenere il ripristino dello stato dei luoghi. Vista l’assenza di riscontri, decorso il termine per la stipula, invitava la convenuta innanzi al notaio, notificando poi atto di significazione e diffida stragiudiziale, al quale la convenuta rispondeva che il contratto era da considerarsi risolto. Tornato sui luoghi, l’avv. Tddddd si avvedeva del fatto che era stata creata anche un’illegittima servitù di condotte di varia natura in danno del fondo di proprietà della C.. Pertanto, gli attori, chiedevano in via d’urgenza che fosse ordinata la sospensione dei lavori; nel merito, che fosse pronunziata sentenza costituiva ex art. 2932 c.c. di trasferimento della porzione promessa in vendita all’attore e della instaurazione di una comunione sullo stradello e che la convenuta fosse condannata a demolire le opere illegittimamente eseguite sulla parte destinata a diventare comune e ripristinare lo stato dei luoghi sull’area di proprietà ddddd rimuovendo le servitù illegittimamente apposte, con condanna al risarcimento dei danni da quantificarsi.

 

La convenuta ha chiesto il rigetto della domanda e spiegato domanda riconvenzionale, In rito ha eccepito l’inammissibilità e la nullità dell’atto di citazione perché contenente anche fotografie in violazione degli artt. 163 c.p.c. e 74 disp. att. c.p.c., nonché per avere la controparte proposto domande di natura ordinaria unitamente ad un’istanza possessoria in violazione degli artt. 703 e 704 c.p.c. Nel merito, ha osservato che al 30/06/2003 l’acquirente non aveva convocato la convenuta innanzi al notaio che solo successivamente aveva scoperto che la controparte aveva illegittimamente differito il termine d’intesa con il proprio marito, senza che nessuno dei due ne avesse, però, facoltà. La prima era, infatti, obbligata solo in relazione alla trasformazione della strada in bene comune, il secondo, invece, non aveva ricevuto alcuna procura in tal senso, precisato che era in corso il giudizio di separazione e avevano smesso di coabitare. Il termine per la stipula del definitivo era da ritenersi essenziale e l’inutile decorso per colpa dell’attore, determinava la risoluzione del contratto. In via riconvenzionale, ha chiesto, pertanto, la dichiarazione di risoluzione del contratto con condanna degli attori al pagamento della penale, oltre al risarcimento dei danni.

 

La domanda principale è parzialmente fondata.

 

Il contratto preliminare sottoscritto dalle parti deve essere dichiarato nullo per contrarietà a norma imperativa.

 

Va, infatti, preliminarmente rammentato che il contratto stipulato per effetto diretto della consumazione di un reato deve essere dichiarato nullo ai sensi dell’art. 1418 c. c. per contrasto con norma imperativa, giacché va ravvisata una violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze di interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sulla annullabilità dei contratti (cfr. Cass. 2860/2008).

 

Più in particolare è stato chiarito che, in tema di cause di nullità del negozio giuridico, per aversi contrarietà a norme penali ai sensi dell’art. 1418 c. c. , occorre che il contratto sia vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato, mentre non rileva il divieto che colpisca soltanto un comportamento materiale delle parti e, meno che mai, di una sola di esse (cfr. Cass. 14234/2003).

 

Nella specie, il contratto stipulato dalle parti integra un accordo collusivo vietato ai sensi dell’art. 353 c.p.

 

La giurisprudenza di legittimità, ha, infatti, chiarito che il reato di turbata libertà degli incanti sussiste non solo quando, con l’uso di uno dei mezzi previsti dall’art. 353 c. dddd , la gara non può essere effettuata rimanendo deserta, ma anche quando non si impedisce lo svolgimento della gara ma se ne disturbala regolarità, influenzandone o alterandone il risultato che, senza l’intervento perturbatore, avrebbe potuto essere diverso. Il bene protetto dalla norma non è soltanto la libertà di partecipazione alle gare di pubblici incanti o nelle licitazioni private, ma anche la libertà di chi vi partecipa di influenzare l’esito secondo la libera concorrenza ed attraverso il gioco della maggiorazione delle offerte. Infatti, premesso che l’essenza ontologica del reato, quanto alla tipizzazione del bene giuridico protetto dalla norma, ha ad oggetto la lesione del pubblico interesse al fisiologico dispiegamento del meccanismo di competizione concorrenziale che assicura la virtuale massimizzazione del risultato economico dei pubblici incanti, deve riconoscersi che la condotta di turbativa d’asta può essere integrato non solo con l’allontanamento di altri concorrenti ma anche a mezzo dell’accordo collusivo tra gli interessati, che va inteso come ogni accordo clandestino diretto ad influire sul normale svolgimento delle offerte e alla elusione dello schema incondizionatamente concorrenziale della gara (Cass. 8887 /2001, con cui la Corte ha confermato la sentenza dei giudici di merito che avevano condannato gli imputati per aver concordato tra loro che alcuni partecipassero all’asta relativa alla vendita di macchinari e gli altri – interessati a ottenere i beni – fossero garantiti, per l’adempimento del patto di cessione futura degli oggetti da acquisire a prezzo base, attraverso il pagamento di una somma di danaro a titolo di clausola penale).

 

È stato anche precisato che la turbativa illecita di cui all’art. 353 c. p. può essere compiuta anche in un momento diverso dallo svolgimento della gara, purché abbia idoneità ad alternarne il risultato finale (Cass. 11628/2005, avente ad oggetto una fattispecie in cui l’imputato aveva promesso ad un altro partecipante, in cambio della sua astensione dall’asta giudiziaria, di rivendergli il bene una volta aggiudicato).

 

Quanto all’applicabilità della norma all’esecuzione per espropriazione forzata immobiliare, va detto che la giurisprudenza ha chiarito che le irregolarità, che si verifichino in sede di vendita con incanto, o di gara conseguente ad offerta in aumento del sesto, a causa della commissione, con la partecipazione dell’aggiudicatario definitivo, dei reati di turbata libertà degli incanti o di astensione dagli incanti ( artt. 353 e 354 c. p. ), configurano vizi sostanziali di negozi processuali inerenti ad una fase del procedimento esecutivo che si chiude con l’ordinanza di aggiudicazione definitiva, e, quindi, vizi di legittimità di tale ultimo atto esecutivo, deducibili con il rimedio dell’opposizione avverso il medesimo atto esecutivo, a norma dell’art. 617 c.p.c. (Cass. 4615/1985).

 

Nella specie, non può dubitarsi del fatto che il contratto preliminare abbia impedito il normale svolgimento della gara tra le parti. Anche volendo prescindere dalle ammissioni contenute nella memoria depositata dal difensore della convenuta il 31/10/2016, nella quale si afferma che dddd fu costretta ad accettare l’accordo, non avendo risorse per acquistare il bene a condizioni diverse, va osservato che, per effetto della stipula del preliminare, da un lato, la sig.ddd offerente in aumento, non aveva più interesse a partecipare alla successiva gara, consapevole del vantaggio che avrebbe ricevuto il marito, che aveva compromesso con la ddd la limitata parte di terreno di suo interesse a buon prezzo, dall’altro, la d traeva un indubbio vantaggio dall’altrui astensione, aggiudicandosi il bene senza lo svolgimento della gara che avrebbe fatto lievitare il prezzo d’acquisto. L’accordo, dunque, ha sostanzialmente impedito lo svolgimento della gara che vedeva come partecipanti le sole dd e B., con innegabile detrimento tanto delle ragioni creditorie che di quelle debitorie, avendo visto dette parti della procedura esecutiva rispettivamente assegnarsi una somma e ridursi l’esposizione debitoria in misura inferiore a quella potenzialmente conseguibile con la gara. La consapevolezza e volontà di impedire lo svolgimento della gara emerge dallo stesso documento contrattuale essendo chiaro agli stipulanti i vantaggi diretti e indiretti, che, in ogni caso, diventano tutti vantaggi diretti, se si considera che l’avv. Tddd. (cfr. comparsa conclusionale del 7/04/2016) ha indicato quale acquirente finale del bene proprio la moglie A.dddd

 

La diversa decisione giurisprudenziale citata dall’attore non sembra attagliarsi al caso di specie poiché riguarda solo un utilizzo abusivo dell’istituto dell’aumento del sesto, senza riferimento ad accordi collusivi tra le parti.

 

Tutte le domande connesse al preliminare, quali la demolizione di opere realizzate sulla parte promessa in vendita, la costituzione di una comunione sullo stradello, in rapporto sinallagmatico con la promessa di vendita, e la richiesta di risarcimento del danno (poi diventata richiesta di pagamento della penale) sono travolte dalla nullità.

 

Per le medesime ragioni, va respinta anche la domanda riconvenzionale.

 

La domanda di demolizione di opere su parte di proprietà esclusiva dell’attrice (dddd non è stata formulata nell’atto introduttivo e, quindi, è inammissibile in quanto domanda nuova.

 

Può essere, invece, accolta la domanda di demolizione di opere sul fondo attoreo che determinano una illegittima servitù sui mappali (ddd. Infatti, va detto che non vi è stata alcuna contestazione della parte convenuta sul punto ed il c.t.u. ha accertato l’esistenza di segni che lasciano presumere l’esistenza di una illegittima servitù di passaggio di tubazioni elettriche e idriche che va, dunque, rimossa dal convenuto.

 

Per tale violazione dominicale, in assegni di qualsivoglia indicazione sulla quantificazione del danno va riconosciuta all’attrice l’importo di Euro 1.000,00.

 

Le spese di lite, ivi comprese quelle di c.t.u., vanno compensate tra le parti in ragione dell’esito del giudizio.

 

Va, infine, trasmessa copia degli atti alla Procura della Repubblica in sede per le conseguenti determinazioni.

P.Q.M.

 

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande proposte dall”Avv. dddddd nei confronti di ddddd e sulla domanda riconvenzionale da quest’ultima proposta, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

 

1) dichiara la nullità del contratto preliminare stipulato dalle parti il 26/06/2002 e, per l’effetto, rigetta le connesse domande proposte;

 

2) in parziale accoglimento della domanda attorea, ordina la rimozione di tutte le opere che determinano una illegittima servitù di passaggio di tubazioni elettriche e idriche sulle pdddd ddddd come meglio descritto nella consulenza tecnica d’ufficio e successive integrazioni del 5/10/2010, 28/03/2011 e 16/05/2014, con ripristino dello status quo ante;

 

3) condanna la convenuta al pagamento, in favore dell’attrice, a titolo di risarcimento del danno, dell’importo di Euro 1.000,00;

 

4) compensa le spese di lite;

 

5) dispone trasmettersi copia degli atti alla Procura della Repubblica in sede.

 

Così deciso in Cassino, il 14 novembre 2016.

 

Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2016.