Irragionevole durata del processo, domanda di equa riparazione e uso dell’informatica: l’istante è tenuto alla sola allegazione dei dati relativi alla sua posizione nel processo

In tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, l’oggetto della domanda è individuabile nella richiesta di accertamento della violazione, rispetto alla quale l’onere della parte istante è limitato alla semplice allegazione dei dati relativi alla sua posizione nel processo (data iniziale di questo, data della sua definizione, eventuale articolazione nei diversi gradi) e non anche alla produzione degli atti posti in essere nel processo presupposto. Confermato tale principio, il fatto che la disciplina dell’uso dell’informatica nei processi risaliva ad alcuni anni dopo il deposito del ricorso introduttivo del giudizio presupposto deve indurre la Corte d’appello ad effettuare una verifica in ordine alla presentazione della istanza (la cassazione giudica fondato il motivo con cui i ricorrenti denunciano violazione della L. n. 1034 del 1971, art. 23, comma 1, e della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia giudicato sulla base di una risultanza del sito internet della giustizia amministrativa e che non abbia invece disposto accertamenti presso la segreteria del TAR ovvero non abbia acquisito il fascicolo del giudizio presupposto al fine di accertare l’avvenuto deposito dell’istanza di prelievo).

 

Cassazione civile, sezione sesta, sentenza del 19.12.2016, n. 2621

…omissis…

Ritenuto che, con ricorso depositato in data 10 marzo 2011 presso la Corte d’appello di Perugia,fffffchiedevano la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio iniziato dinnanzi al TAR Lazio con ricorso depositato nel 1997, e con istanza di fissazione di udienza depositata nell’aprile 2010; che la Corte d’appello rilevava che i ricorrenti avevano depositato istanza di fissazione dell’udienza solo nel 2009, il che non consentiva, tenuto conto di quanto disposto dal D.P.R. (recte: della L.) n. 1034 del 1971, art. 23, che potesse essere computato il segmento processuale precedente, con conseguente rigetto della domanda, posto che la durata rilevante era stata di soli undici mesi, e con condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese nella misura di Euro 2.000,00; che la Corte d’appello riteneva quindi che la domanda fosse improponibile e compensava le spese del procedimento; che per la cassazione di questo decreto I omissis hanno proposto ricorso sulla base di due motivi; che l’intimato Ministero non ha svolto difese.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza; che con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione della L. n. 1034 del 1971, art. 23, comma 1, e della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia giudicato sulla base di una risultanza del sito internet della giustizia amministrativa, senza tenere conto che il ricorso era stato depositato alcuni anni prima della introduzione della disciplina sull’uso di strumenti informatici nel processo civile, amministrativo e contabile, e che non abbia invece disposto accertamenti presso la segreteria del TAR ovvero non abbia acquisito il fascicolo del giudizio presupposto al fine di accertare l’avvenuto deposito dell’istanza di prelievo; che, d’altra parte, osservano i ricorrenti, posto che la L. n. 1034 del 1971, art. 23, considerava la presentazione della istanza di fissazione come obbligatoria entro i due anni dalla data del deposito del ricorso, doveva ritenersi del tutto inverosimile che nel giudizio presupposto la detta istanza non fosse stata presentata; circostanza, questa, corroborata dal rilievo che quel giudizio si è poi concluso con sentenza di rigetto della domanda e non di perenzione del ricorso; che con il secondo motivo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU e della L. n. 89 del 2001, art. 2, sostenendo che, nella giurisprudenza di legittimità si è chiarito che l’istanza di fissazione di udienza non rileva ai fini della identificazione della data iniziale del giudizio della cui irragionevole durata ci si duole; che il primo motivo del ricorso principale è fondato; che, invero, premesso che il presente giudizio è interamente disciplinato dalla L. n. 89 del 2001, come vigente alla data del deposito della domanda di equa riparazione, deve rilevarsi che sussiste la denunciata violazione dell’art. 3, comma 5, della detta legge; che, come esattamente ricordato dai ricorrenti, questa Corte ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, per cui “in tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, l’oggetto della domanda è individuabile nella richiesta di accertamento della violazione, rispetto alla quale l’onere della parte istante è limitato alla semplice allegazione dei dati relativi alla sua posizione nel processo (data iniziale di questo, data della sua definizione, eventuale articolazione nei diversi gradi) e non anche alla produzione degli atti posti in essere nel processo presupposto” (Cass. n. 16836 del 2010; Cass. n. 16367 del 2011); che, nella specie, l’argomento svolto dai ricorrenti, e cioè che il ricorso introduttivo del giudizio presupposto era stato introdotto nel 1997, mentre la disciplina dell’uso dell’informatica nei processi, compreso quello amministrativo, risaliva ad alcuni anni dopo il deposito del ricorso, avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello ad effettuare una verifica in ordine alla presentazione della istanza, tanto più che la stessa Corte d’appello ha dato atto dell’avvenuta conclusione del giudizio presupposto con sentenza e non con decreto di perenzione, come sarebbe invece stato inevitabile ove l’istanza di fissazione non fosse mai stata presentata, e che lo stesso Ministero resistente riferisce dell’avvenuta presentazione di due istanze di prelievo; che l’accoglimento del primo motivo assorbe il secondo motivo dello stesso ricorso; che, dunque, accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, il decreto impugnato deve essere cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione; che al giudice di rinvio è demandata la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

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La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione.