Incapacità a testimoniare: soci e società; rilevanza del thema decidendum proposto dalle parti e non del decisum; distinzione con la nozione di inattendibilità

La capacità a testimoniare dei soci è ammessa solo in relazione alle società dotate di personalità giuridica data l’autonomia patrimoniale sottesa alla persona giuridica mentre non è ammessa negli altri casi come nella specie trattandosi di una società in nome collettivo. Essendo illimitatamente responsabile delle obbligazioni societarie, egli è portatore di un interesse giuridico e non di mero fatto all’esito del giudizio. Il limite soggettivo al potere di testimoniare trova la sua ragione giustificativa nella sussistenza, in capo al terzo, di un interesse idoneo a legittimare la sua partecipazione al processo. L’interesse che genera la incapacità deve essere valutato in concreto con riguardo allo specifico oggetto della pretesa dedotta in giudizio, così come determinata dal contenuto delle domande e delle eccezioni ed indipendentemente dal loro fondamento, di modo che l’incapacità venga stabilita alla stregua del thema decidendum proposto dalle parti, e non del decisum ed indipendentemente dal contenuto della deposizione resa dal teste. L’incapacità a testimoniare, prevista dall’art. 246, si identifica difatti con l’interesse a proporre la domanda od a contraddirvi di cui all’art. 100 c.p.c. sussistente in capo al soggetto titolare di un diritto che lo legittimerebbe a partecipare al giudizio in una qualsiasi veste (legittimazione attiva o passiva, anche in linea alternativa o solidale, primaria o secondaria, interventore volontario o su istanza di parte). In altre parole la norma, così come costantemente interpretata dalla giurisprudenza, esclude dall’esperimento della prova testimoniale tutti quei soggetti terzi che a qualsiasi titolo potrebbero divenire parte del processo. Circa la distinzione tra la nozione di incapacità a testimoniare del terzo e quella di inattendibilità della testimonianza va considerato che la prima è relativa alla sussistenza, in capo al terzo, di un interesse atto a renderlo “potenzialmente” parte; la seconda sottende la veridicità della testimonianza che deve essere liberamente valutata dal giudice, mediante il ricorso a parametri soggettivi – quali, a titolo di esempio, i rapporti tra le parti e l’eventuale interesse di fatto del testimone all’esito della lite – ed a parametri oggettivi, quali la precisione e la completezza della deposizione, oltre alle eventuali contraddizioni.

 

 

Tribunale di Bari, sentenza del 26.7.2018