In caso di disciplina espressa e completa non si può ricorrere ad una diversa conformazione dei principi di ragionevole durata o giusto processo (rito del lavoro, violazione del termine tra notifica dell’appello e udienza)

A fronte di una disciplina espressa e completa che modula i tempi e i modi per ottenere la sanatoria delle invalidità diverse dall’inesistenza della vocatio in ius, non è ammissibile che l’interprete possa ricorrere in via autonoma ad una diversa conformazione dei principi costituzionali di ragionevole durata o giusto processo, attribuendo rilevanza alle giustificazioni del ritardo o al contegno delle parti in udienza e facendo scaturire dall’invalidità effetti diversi e più gravi (quale l’improcedibilità dell’appello) di quelli delineati dal sistema proprio delle norme processuali (nel caso di specie la SC conferma che nel rito del lavoro, la violazione del termine non minore di venticinque giorni che, a norma dell’art. 435 c.p.c., comma 3, deve intercorrere tra la data di notifica dell’atto di appello e quella dell’udienza di discussione, non comporta l’improcedibilità dell’impugnazione, come nel caso di omessa o inesistente notificazione, bensì la nullità di quest’ultima, sanabile “ex tunc” per effetto di spontanea costituzione dell’appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c., norma che, infatti, esclusivamente che il giudice, quale garante della regolare instaurazione del contraddittorio, ove il convenuto non si costituisca e ricorra un vizio di nullità della notificazione, previo rilievo del medesimo, fissi un termine per la rinnovazione, senza che a diversa soluzione possa giungersi, come pretenderebbe la Corte territoriale, in applicazione del principio della ragionevole durata del processo).

NDR: in tal senso questa Cass. n. 22166 del 12/09/2018.

Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza del 20.5.2020, n. 9199