Il minore bullizzato reagisce successivamente ed eccessivamente: è applicabile l’art. 1227 c.c. L’ordinamento deve essere sensibile verso le vittime di bullismo.
Quando l’autore della reazione sia un adolescente, vittima di comportamenti prevaricatori, aggressivi, mortificanti e reiterati nel tempo, occorre, in aggiunta, tener conto che la sua personalità non si è ancora formata in modo saldo e positivo rispetto alla sequela vittimizzante cui è stato supposto; è prevedibile, infatti, che la sua reazione possa risolversi, a seconda dei casi, nell’adozione di comportamenti aggressivi internalizzati che possono trasformarsi, con costi anche particolarmente elevati in termini emotivi, in forme di resilienza passiva e autoconservative, evolvere verso forme di autodistruzione oppure tradursi, come è avvenuto nel caso di specie, nell’assunzione di comportamenti esternalizzati aggressivi.
Pur dovendosi neutralizzare e condannare l’istinto di vendetta del minore bullizzato, è innegabile che la risposta ordinamentale non possa essere solo quella della condanna dell’atto reattivo come comportamento illecito a sè stante, ignorando le situazioni di privazione e di svantaggio che ne costituivano il sostrato, non solo perchè l’ignoranza e la sottovalutazione possono (persino) attivare un circolo negativo di vittimizzazione ulteriore, ma anche perchè il bullismo non dà vita ad un conflitto meramente individuale, come dimostrano le rilevazioni statistiche, e richiede un coacervo di interventi coordinati che, oltre a contenere il fenomeno, fungano da diaframma invalicabile che si interponga tra l’autore degli atti di bullismo e le persone offese, anche onde rendere del tutto ingiustificabile la reazione di queste ultime.
Nel caso di specie, non solo non è fuori luogo, ma è persino doveroso che l’ordinamento si dimostri sensibile verso coloro che sono esposti continuamente a condizioni vittimizzanti idonee a provocare e ad amplificare le reazioni rispetto alle sollecitazioni negative ricevute; soprattutto ove la vittima venga privata del meccanismo repressivo istituzionale dell’illecito e, come sembra sia avvenuto in questo caso, venga lasciata sola nell’affrontare il conflitto. Non una sola parola è stata spesa, infatti, per chiarire se la scuola si fosse fatta carico di predisporre interventi di contrasto della piaga del bullismo attraverso un programma serio e articolato fondato su specifiche direttive psicopedagogiche e su forme di coinvolgimento dei genitori.
Cassazione civile, sezione terza, ordinanza 10.09.2019, n. 22541