Erede di una delle parti originarie del giudizio: prova ai fini dell’intervento, riassunzione o impugnazione

Va confermato il principio per cui colui che, assumendo di essere erede di una delle parti originarie del giudizio, intervenga in un giudizio civile pendente tra altre persone, ovvero lo riassuma a seguito di interruzione, o proponga impugnazione, deve fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., oltre che del decesso della parte originaria, anche della sua qualità di erede di quest’ultima; a tale riguardo la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, artt. 46 e 47, non costituisce di per sè prova idonea di tale qualità, esaurendo i suoi effetti nell’ambito dei rapporti con la P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi, dovendo tuttavia il giudice, ove la stessa sia prodotta, adeguatamente valutare, anche ai sensi della nuova formulazione dell’art. 115 c.p.c., come novellato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 14, in conformità al principio di non contestazione, il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere, con riferimento alla verifica della contestazione o meno della predetta qualità di erede e, nell’ipotesi affermativa, al grado di specificità di tale contestazione, strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto della dichiarazione sostitutiva suddetta.

 

Cassazione civile, sezione sesta, sentenza del 4.5.2017, n. 10856