Eccezione di compensazione e sospensione del giudizio

La compensazione, in quanto esercizio di un diritto potestativo, non può essere rilevata d’ufficio e deve essere eccepita da chi intende avvalersene, senza necessità che la relativa manifestazione di volontà sia espressa mediante l’uso di formule sacramentali, essendo sufficiente che dal comportamento della parte risulti univocamente la volontà di ottenere la dichiarazione dell’estinzione del debito.

 Se l’accertamento del credito opposto in compensazione pende dinanzi ad altro giudice, è questi che deve liquidare. In tal caso il giudice dell’eccezione di compensazione non può sospendere il giudizio sul credito principale ai sensi dell’art. 295 c.p.c., o art. 337 c.p.c., comma 2, qualora nel giudizio avente ad oggetto il credito eccepito in compensazione sia stata emessa sentenza non passata in giudicato, ma, non potendo realizzarsi la condizione prevista dall’art. 1243 c.c., comma 2, – che costituisce disciplina processuale speciale ai fini della reciproca elisione dei crediti nel processo instaurato dal creditore principale – deve dichiarare l’insussistenza dei presupposti per elidere il credito agito e rigettare l’eccezione di compensazione.

 La compensazione giudiziale, di cui all’art. 1243 c.c., comma 2, presuppone l’accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la medesima compensazione è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo. In tale ipotesi, pertanto, resta esclusa la possibilità di disporre la sospensione della decisione sul credito oggetto della domanda principale, e va parimenti esclusa l’invocabilità della sospensione contemplata in via generale dall’art. 295 c.p.c., o dall’art. 337 c.p.c., comma 2, in considerazione della prevalenza della disciplina speciale del citato art. 1243 c.c.

 

Corte d’appello di Bari, sentenza del 2.10.2017