Distinzione tra incapacità a testimoniare e valutazione di inattendibilità del teste

È corretto affermare, quanto alla distinzione tra incapacità a testimoniare e valutazione di inattendibilità del teste, la loro operatività su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., dipende dalla presenza in un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza delle dichiarazione, le possibili contraddizioni) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite.

 

Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza del 20.9.2016, n. 18421

 

…omissis…

 Con il primo motivo, la ricorrente deduce vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’inattendibilità della teste V.aaaaaaaa determinante ai fini di accoglimento della domanda del lavoratore, in quanto ritenuta aver lavorato presso lo stesso ristorante dal aaaaaaa in contrasto con il rigetto della sua domanda di accertamento per lo stesso periodo di lavoro alle dipendenze della medesima ricorrente, con sentenza del Tribunale di Roma n. 1427/08 in giudicato.

Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’improprio richiamo della Corte territoriale, in riferimento alla deposizione della teste suindicata, alla nozione di incapacità a testimoniare, avendone invece il primo giudice operato una valutazione ineccepibile, ancorchè non condivisa dal secondo, in ordine alla sua inattendibilità sulla base della pendenza di giudizio promosso dalla teste, nei confronti della medesima ricorrente, di accertamento di analogo rapporto di lavoro subordinato, in cui indicato come aaaaaa: con valutazione del Tribunale non aprioristica, ma per “comparazione di molteplici aspetti, di natura soggettiva e oggettiva, anche in relazione alle altre testimonianze”.

Il primo motivo (vizio di motivazione, per non ravvisata inattendibilità della teste omissis) può essere congiuntamente esaminato, per ragioni di stretta connessione, con il secondo (violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c., per improprio riferimento della negativa valutazione dal Tribunale della deposizione della teste alla nozione di incapacità a testimoniare, anzichè di inattendibilità).

Premessa l’inammissibilità, a norma dell’art. 372 c.p.c., della produzione documentale (avente ad oggetto sentenza penale del Tribunale di Roma 22 novembre 2011 di condanna di XX per il reato p. e p. dall’art. 372 c.p. e sentenza civile dello stesso Tribunale, sez. lavoro tra omissis e C. s.r.l.), allegata dalla società ricorrente soltanto con la memoria comunicata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., in quanto non riguardante nè la nullità della sentenza impugnata, nè l’ammissibilità del ricorso o del controricorso (Cass. 31 marzo 2011, n. 7515), i due mezzi sono inammissibili.

Essi sono finalizzati a sollecitare una rivisitazione del merito della vicenda, muovendosi entrambi sul piano della contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, cui spettante in via esclusiva l’accertamento del fatto e segnatamente il giudizio sulla capacità a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c., sull’attendibilità dei testi e sulla rilevanza delle deposizioni, siccome involgente apprezzamenti di fatto (Cass. 15 marzo 2004, n. 5232), insindacabile in sede di legittimità qualora sorretti da adeguata motivazione (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694): come appunto nel caso di specie, per l’esauriente motivazione della Corte capitolina, logicamente congrua e giuridicamente corretta (per le ragioni esposte a pgg. da 3 a 5 della sentenza).

Quanto, in particolare, al primo, esso è pure palesemente generico e pertanto viola la prescrizione di specifica confutazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige l’illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).

Ed esso viola anche il principio di autosufficienza, in difetto di specifica indicazione della sede di produzione della sentenza del Tribunale di Roma invocata al fine di screditare l’attendibilità della teste oaaaaaaaas (come anticipato, inammissibilmente prodotta per la prima volta in allegato alla memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.), nè tanto meno di sua trascrizione (Cass. 9 aprile 2013, n. 8569; Cass. 16 marzo 2012, n. 4220; Cass. 23 marzo 2010, n. 6937).

Quanto al secondo, non si configura la denunciata violazione dell’art. 246 c.p.c., per insussistenza dei requisiti propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, nè di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, nè tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con la norma regolatrice della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

La Corte territoriale ha anzi fatto esatta applicazione di tale norma, chiarendo puntualmente la distinzione, non ben compresa dalla società ricorrente, tra incapacità a testimoniare e valutazione di inattendibilità del(la) teste, nella loro operatività su piani diversi: atteso che l’una, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., dipende dalla presenza in un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza delle dichiarazione, le possibili contraddizioni) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite: Cass. 21 agosto 2004, n. 16529).

E procedendo quindi al critico ed argomentato scrutinio della veridicità della deposizione alla stregua di elementi di natura oggettiva e di carattere soggettivo (che sempre devono essere rigorosamente valutati in funzione di esame dell’intrinseca credibilità del teste, anche quando versi in condizione di incapacità a norma dell’art. 246 c.p.c. ma essa non sia tempestivamente eccepita, senza che ciò ne comporti ex se l’inattendibilità: Cass. 25 gennaio 2012, n. 1022; Cass. 4 agosto 1990, n. 7869), anche in comparazione con gli altri elementi di prova orale (in particolare: testi oaaaaaas) e documentale (contratto di assunzione, indicato al primo capoverso di pag. 5 della sentenza), attentamente valutati, con argomentazioni complete e corrette.

Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’inammissibilità del ricorso e la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

Pqm

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna aaaal. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.