Danno patrimoniale e non patrimoniale da evasione fiscale penalmente rilevante: le Sezioni Unite dicono sì

Nel rapporto tra il contribuente e l’erario il danno patrimoniale da evasione penalmente rilevante di cui l’amministrazione finanziaria può chiedere il risarcimento è necessariamente diverso dall’imposta evasa, dalle sanzioni e dagli interessi moratori previsti dalla legislazione speciale, e potrà consistere solo negli eventuali ulteriori o diversi pregiudizi sopportati dalla p.a..

Tali pregiudizi rientrano nella previsione di cui all’art. 1224, secondo comma, c.c., non sono in re ipsa e vanno allegati e dimostrati in modo preciso.

Il danno non patrimoniale da evasione penalmente rilevante, ovviamente, resta soggetto alle regole di cui agli artt. 2059 c.c. e 185 c.p..

Il terzo correo del reato tributario potrà essere chiamato a rispondere nei confronti dell’erario:

a) del danno da perdita del credito tributario, se sia dimostrato che in assenza della condotta illecita l’amministrazione finanziaria avrebbe potuto esigere il proprio credito dal contribuente, secondo la regola causale della preponderanza dell’evidenza;

b) di eventuali ed ulteriori danni diversi dal tributo evaso, ai sensi dell’art. 1224, comma secondo, c.c.;

c) nel caso di corresponsabilità penale, del danno non patrimoniale di cui agli artt. 2059 c.c. e 185 c.p..

Nel caso di evasione fiscale  non vi può essere alcuna scelta da parte dell’erario tra la riscossione coattiva e l’azione di danno, perché l’azione aquiliana è inutilizzabile per ottenere l’esatta esecuzione della prestazione dovuta.

Nel caso, poi, in cui l’erario abbia diritto di agire ai sensi dell’art. 1224, comma secondo, c.c., per pretendere il ristoro del maggior danno secondo quanto esposto in precedenza, nemmeno è data alcuna facoltà di scelta, perché le forme speciali della riscossione coattiva dei tributi non consentono di esigere il ristoro del “maggior danno” di cui alla norma citata: e dunque la scelta dell’azione ordinaria di danno non avrebbe alternative.

Tra erario e contribuente, poiché l’unico danno (patrimoniale) risarcibile è quello di cui all’art. 1224, secondo comma, c.c., spetterà all’erario dimostrarne l’esistenza, l’entità e la derivazione causale dal fatto illecito. Tra erario e terzo corresponsabile dell’evasione, come s’è visto il fatto costitutivo della pretesa è la perduta possibile di esigere, in tutto od in parte, il credito tributario nei confronti del contribuente. Spetterà dunque all’erario dimostrare la titolarità del credito; la perdita di questo per fatto del terzo; il nesso di causa tra condotta del terzo e perdita del credito.

Se poi l’erario, per negligenza, trascuri di riscuotere il proprio credito; incorra colpevolmente in prescrizione o decadenze; trascuri di avvalersi degli strumenti di conservazione della garanzia patrimoniale, tali condotte saranno concausative del danno (che è la perdita del credito), e non aggravative di esso. Rientreranno pertanto nell’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 1227 c.c., e spetterà al convenuto eccepire e dimostrare che l’erario ha perso il credito per propria negligenza, ai sensi della norma appena citata.

Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza del 12.10.2022, n. 29862 (Pres. Manna, rel. Rossetti)

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