Danno catastrofale risarcibile, ma non se lo spatium vivendi è stato di 13 minuti
In caso di illecito civile che abbia determinato la morte della vittima, il danno cosiddetto “catastrofale”, conseguente alla sofferenza dalla stessa patita – a causa delle lesioni riportate – nell’assistere, nel lasso di tempo compreso tra l’evento che le ha provocate e la morte, alla perdita della propria vita (danno diverso sia da quello cosiddetto “tanatologico”, ovvero connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute, sia da quello rivendicabile “iure hereditatis” dagli eredi della vittima dell’illecito, poi rivelatosi mortale, per avere il medesimo sofferto, per un considerevole lasso di tempo, una lesione della propria integrità psico-fisica costituente un autonomo danno “biologico”, accertabile con valutazione medico legale) deve comunque includersi, al pari di essi, nella categoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ., ed è autonomamente risarcibile in favore degli eredi del defunto.
Nel caso di specie, tuttavia, il lasso di tempo di 13 minuti precedente la morte (c.d. spatium vivendi), durante i quali comunque il paziente è stato sotto le cure dei sanitari, non può ritenersi apprezzabile e considerevole e non può dunque ritenersi quale causa di un danno catastrofale.