Contraddittorio lungo le memorie ex art. 183; valore della relazione di parte; inammissibilità della conclusionale proposta, in assenza di autorizzazione nella veste di altro atto di parte; limiti al rilievo officioso ex art. 127 TUB

L’istanza volta alla revoca/modifica ex art. 177 c.p.c. dell’ordinanza che ha ritenuto la causa matura per la decisione è inammissibile e tamquam non esset ai fini del decidere qualora sia solo apparentemente una istanza volta alla modifica di una ordinanza istruttoria, essendo in realtà una comparsa conclusionale dimessa in assenza di alcuna autorizzazione (visto che la causa, con l’ordinanza in questione, è stata in spedita in decisione con discussione orale e non scritta).

Il Giudice deve decidere sulla base delle prove allegate dalle parti e non può fare affidamento sulla parola di un consulente di parte il quale abbia una relazione priva del carattere di scientificità avendo omesso di riferire sulla base di quali criteri sia stata redatta.

Qualora la convenuta non abbia depositato la prima memoria ex art. 183 c. 6 c.p.c., depositando invece la seconda memoria poco prima della sospensione feriale sebbene i termini scadessero dopo e l’attore, abbia, da un lato, radicalmente mutato nella sua prima memoria i presupposti fattuali alla base della sua azione e, dall’altro, utilizzato la sua seconda memoria non tanto per replicare alla prima memoria della convenuta, che non è stata depositata, quanto per replicare a quanto dedotto dalla convenuta nella sua seconda memoria approfittando del periodo di sospensione feriale, introducendo nuove contestazioni con detta seconda memoria attorea, va affermato che sia la prima che la seconda memoria attorea sono, per quanto detto, in parte inammissibili e come tali non possono essere esaminate.

Relativamente al potere del Giudice chiamato ad esaminare una domanda di esecuzione di un contratto, di rilevarne la nullità, in tutto o in parte, delle sue clausole anche per ragioni o per clausole differenti da quelle evidenziate dalla parte, va osservato che detto uso dei poteri officiosi di cui al 127 T.U.B. per la declaratoria di nullità di clausole anche non espressamente censurate in atti,  in ragione della allegazione dei fatti sulla base dei quali poter rilevare tali nullità, non può condurre all’errata lettura dell’art. 127 T.U.B. che porterebbe a ritenere che l’unico onere della parte sia quello di produrre un contratto e rimettersi all’indagine officiosa del Giudice, il quale finirebbe per fare da attore e da Giudice in ossequio al suo dovere di rilevare le nullità di protezione previste dall’art. 127 T.U.B. Tale interpretazione dell’art. 127 T.U.B. non può essere condivisa e va rigettata al fine di non svuotare di significato l’art. 2697 c.c. e sovvertire le regole minime attinenti al contraddittorio processuale.

 

Tribunale di Padova, sezione seconda, sentenza del 26.10.2016