Azione disciplinare verso magistrati: questo il dies a quo

Ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 109 del 2006, “l’azione disciplinare è promossa entro un anno dalla notizia del fatto, della quale il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha conoscenza a seguito dell’espletamento di sommarie indagini preliminari o di denuncia circostanziata o di segnalazione del Ministro della giustizia. La denuncia è circostanziata quando contiene tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie disciplinare. In difetto di tali elementi, la denuncia non costituisce notizia di rilievo disciplinare”.
Nella interpretazione di questa disposizione, si è precisato che l’art. 15 del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 fa decorrere il termine di un anno per la promozione dell’azione disciplinare nei confronti del magistrato, da parte del P.G. presso la Corte di cassazione, dalla conoscenza della notizia del fatto di rilievo disciplinare che lo stesso acquisisca a seguito dell’espletamento di sommarie indagini preliminari, di una denuncia circostanziata, o di una segnalazione del Ministro della giustizia” e non attribuisce rilevanza alcuna al momento in cui di tale fatto siano venuti a conoscenza gli organi tenuti a darne comunicazione al P.G. presso la Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 14, quarto comma, dello stesso d.lgs. (Consiglio superiore della magistratura, consigli giudiziari e dirigenti degli uffici, compresi tra questi “i presidenti di sezione e i presidenti di collegio nonché i procuratori aggiunti” che “debbono comunicare ai dirigenti degli uffici i fatti concernenti l’attività dei magistrati della sezione o del collegio o dell’ufficio che siano rilevanti sotto il profilo disciplinare”), sia perché tale conoscenza non determina quella, neanche materiale (oltre che giuridica), degli stessi fatti anche per il titolare dell’azione disciplinare – solo l’inerzia del quale (protratta oltre il termine fissato dal legislatore) è pertinente – sia perché il rilievo disciplinare di un fatto può essere stabilito unicamente dal titolare dell’afferente potere, essendo il relativo apprezzamento il risultato di un giudizio proprio ed esclusivo dello stesso (e non di altri), diverso, peraltro, e ben più pregnante, rispetto a quello concernente soltanto la rilevanza di quello stesso fatto ai fini dell’insorgenza del predetto obbligo di comunicazione  [Cassazione civile, sezioni unite, sentenza del 15.5.2014, n. 10626].

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