Avvocato, facoltà di astenersi dal rendere testimonianza, presupposti

Posto che l’art. 249 c.p.c., riconosce all’avvocato la facoltà di astenersi dal rendere testimonianza, mediante il richiamo all’art. 200 c.p.p., l’esercizio di detta facoltà presuppone la sussistenza di un requisito soggettivo e di un requisito oggettivo. Il primo, riferito alla condizione di avvocato di chi è chiamato a testimoniare, consiste nell’essere la persona professionalmente abilitata ad assumere la difesa della parte in giudizio. Il secondo requisito è riferito all’oggetto della deposizione, che deve concernere circostanze conosciute per ragione del proprio ministero difensivo o dell’attività professionale, situazione questa che può essere oggetto di verifica da parte del giudice. Con la precisazione che la protezione del segreto professionale, riferita a quanto conosciuto in ragione dell’attività forense svolta da chi sia legittimato a compiere atti propri di tale professione, assume carattere oggettivo, essendo destinata a tutelare le attività inerenti alla difesa e non l’interesse soggettivo del professionista. In sintesi, la facoltà di astensione riconosciuta all’avvocato si inscrive nella tutela del diritto di difesa inteso in senso ampio proprio perchè è destinata a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa, consentendo che ad un difensore tecnico possano, senza alcuna remora, essere resi noti fatti e circostanze la cui conoscenza è necessaria o utile per l’esercizio di un efficace ministero difensivo; e, quindi, l’avvocato può avvalersene riguardo alle conoscenze acquisite in ogni fase dell’attività professionale, sia contenziosa che non come nel caso in esame, in cui l’attività professionale prestata era di tipo stragiudiziale, di guisa che il presupposto oggettivo connesso allo svolgimento dell’attività professionale non può ritenersi circoscritto alla sola ipotesi in cui egli abbia assunto la veste di difensore nel processo, nel qual caso – peraltro – ricorrerebbe una incompatibilità a testimoniare. Pertanto, il controllo riservato al giudice circa il corretto esercizio della facoltà di astensione va focalizzato esclusivamente sulla ricorrenza dei presupposti soggettivo ed oggettivo, senza che la scelta compiuta dall’avvocato, intimato come teste, possa ritenersi sindacabile sotto il profilo dell’interesse del soggetto che ha articolato la prova testimoniale.

Cassazione civile, sezione prima, ordinanza del 3.12.2020, n. 27703

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