Attività di difesa nel proprio interesse e liquidazione giudiziale del compenso

L’attività di difesa svolta nel processo da soggetto abilitato all’esercizio della professione legale ed avente la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, seppur compiuta nel proprio interesse, come è consentito dall’art. 86 c.p.c., ha comunque natura professionale e, pertanto, dà diritto alla liquidazione giudiziale, secondo le regole della soccombenza, dei compensi per la sua prestazione, dovendo il giudice statuire al riguardo, ai sensi degli artt. 91 c.p.c. e segg., anche senza espressa istanza dell’interessato, salvo che lo stesso abbia manifestato la volontà di rinunciarvi. Tuttavia, la norma contenuta nell’art. 86 c.p.c., suppone che la parte abilitata alla difesa personale dichiari di volersi avvalere di tale facoltà all’atto della costituzione in giudizio, ovvero quanto meno che dichiari di avere la qualità richiesta per lo svolgimento personale dell’attività processuale. In particolare, va qui riaffermato che nei giudizi in cui è consentita alla parte la difesa personale, ex art. 82 c.p.c., è onere dell’interessato, che rivesta la qualità di avvocato, specificare a che titolo intenda partecipare al processo, poichè (a prescindere dal profilo fiscale), mentre la parte che sta in giudizio personalmente non può chiedere che il rimborso delle spese vive sopportate, il legale, ove manifesti, appunto, l’intenzione di operare come difensore di sè medesimo ex art. 86 c.p.c., ha diritto alla liquidazione delle spese secondo la tariffa professionale.

 

 

Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza del 21.1.2019, n. 1518