Applicazione generalizzata delle tabelle milanesi per la liquidazione del danno biologico: Roma dice no, tra uguaglianza, equità, prevedibilità della decisione.

In tema di tabelle milanesi per la liquidazione del danno biologico, la nozione stessa di liquidazione equitativa preclude che la Corte di legittimità possa conferire dignità ed efficace paranormativa erga omnes a protocolli locali di liquidazione del danno. L’ordinamento non consente l’elaborazione di canoni “super-equitativi” che, corrodendo la discrezionalità giurisdizionale, contraggano (sino ad annullarlo) l’apprezzamento equitativo in relazione alla singola controversia. Portato al suo naturale e per nulla implicito corollario la generata applicazione delle Tabelle predisposte in sede locale da un qualunque Ufficio giudiziario in ogni procedimento civile condurrebbe a creare – per via pretoria – una norma che l’Ordinamento non solo non prevede, ma neppure tollera. Un conto è pretendere dal giudice l’onere di giustificare la scelta equitativa che compie nella liquidazione del danno ex articoli 1226 e 2056 c.c. e di rapportarla al caso concreto ed al contesto in cui la vicenda risarcitoria viene in emergenza; altro è imporre valutazione equitative non generalizzabili ed estensibili per il solo fatto che provengono (in sé) da circoscritti contesti di elaborazione. L’esigenza di assicurare il rispetto del parametro di eguaglianza ex art. 3 Cost. non può flettere verso l’applicazione di regole eguali a casi solo apparentemente tali. La fallacia di questa prospettiva emerge viepiù se si considera che i connotati di prevedibilità della decisione devono essere necessariamente rapportati – in presenza di scelte equitative e discrezionali ed in assenza, correlativamente, di stringenti regole legali – al contesto entro cui i criteri di calcolo del danno vengono elaborati. L’uniformità sul territorio nazionale dei criteri di liquidazione del danno è necessità che il legislatore ha anche esaminato in territori contigui (le cd. micro permanenti), ma non ha voluto per i casi come quello in esame in cui ha rimesso alla valutazione equitativa del singolo giudice o ufficio il compito di attingere la più giusta misura del risarcimento. Tradirebbe, allora, la funzione nomofilattica (che è di tutela del diritto oggettivo mediante l’esame della situazione giuridica soggettiva dei ricorrenti) una posizione che volesse imporre soluzioni ritenute “più equitative di altre”, a prescindere dai connotati di fatto della vicenda e compromettendo la discrezionalità prevista dal codice.

 

Tribunale di Roma, sezione tredicesima, sentenza del 4.9.2018