Appello motivato = parte rescindente + critica + progetto di sentenza.
Il primo filtro introdotto dalla disciplina è quello contenuto nella norma di cui all’art. 342 c.p.c. in virtù del quale “la motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”.
La novella ha, pertanto, eliminato gli originari requisiti della “esposizione sommaria dei fatti” e della “specificità dei motivi” di appello, in precedenza richiesti dalla norma in esame, così recependo gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità sviluppatisi negli anni successivi alla riforma della L. n. 353 del 1990 intorno al concetto di motivi ‘specifici’.
Secondo il nuovo orientamento il concetto di specificità dei motivi di appello richiesta dall’attuale art. 342 cod.proc.civ. può assumere tre diverse valenze:
1. è necessario, in primo luogo, individuare la parte o il capo della sentenza che si impugna (cd. parte rescindente ex art. 342, primo comma nr. 1, prima parte) e ciò quasi a voler estendere anche all’appello il requisito dell’autosufficienza proprio del ricorso per Cassazione;
2. l’individuazione dell’errore in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado e la sua sottoposizione a critica (art. 342, 1 comma, n. 2, c.p.c.): l’avvocato nel redigere l’atto di appello deve indicare espressamente le circostanze da cui deriva la violazione di legge e dar conto della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata, specificando, dunque, in che modo il Giudice violando la norma ha dato una soluzione non conforme alla ratio della norma medesima;
3. infine deve essere indicato il c.d. progetto di sentenza alternativo rispetto a quello contenuto nella sentenza appellata (ex art. 342, primo comma nr. 1 seconda parte cod.proc.civ.): pertanto l’appellante deve redigere l’atto di appello quasi fosse una sentenza [Tribunale di Monza, sezione prima, sentenza del 25.3.2014].