Ancora no al danno iure successionis da morte immediata

In materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicchè, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure haereditatis di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo.

Viceversa, nel caso in cui tra la lesione e la morte si interponga un apprezzabile lasso di tempo, tale periodo giustifica il riconoscimento, in favore del danneggiato, del c.d. danno biologico terminale, cioè il danno biologico stricto sensu (ovvero danno al bene salute), al quale, nell’unitarietà del genus del danno non patrimoniale, può aggiungersi un danno morale peculiare improntato alla fattispecie (“danno morale terminale”), ovvero il danno da percezione, concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni, sia nella sofferenza psicologica (agonia) derivante dall’avvertita imminenza dell’exitus, se nel tempo che si dispiega tra la lesione ed il decesso la persona si trovi in una condizione di “lucidità agonica”, in quanto in grado di percepire la sua situazione e in particolare l’imminenza della morte, essendo quindi irrilevante, a fini risarcitori, il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale e il decesso nel caso in cui la persona sia rimasta “manifestamente lucida”.

 

Cassazione civile, sezione terza, sentenza del  11.11.2019, n. 28989