Ammissione al patrocinio a spese dello Stato: valutazione ex ante del Consiglio dell’Ordine e ex post del giudice, estinzione del processo per rinuncia agli atti del giudizio
Il giudice procedente è chiamato a valutare (nella parte che interessa in questa sede) la sussistenza ab origine di tutti i presupposti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ossia non solo del presupposto reddituale, ma anche di quello relativo al contenuto dell’istanza, quale delineato, a pena di inammissibilità, dall’art. 122 sulle spese di giustizia (ai sensi del quale l’istanza deve contenere, a pena di inammissibilità, le enunciazioni in fatto ed in diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere, con la specifica indicazione delle prove di cui si intende chiedere l’ammissione).
Sulla base del combinato disposto degli artt. 122 e 126 T.U. sulle spese di giustizia, la valutazione ex ante (demandata al Consiglio dell’Ordine) opera nel senso di impedire l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in tutti i casi in cui l’istanza non contenga le enunciazioni in fatto ed in diritto utili ad apprezzare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere e non indichi le prove di cui si intende chiedere l’ammissione; diversamente, sulla scorta dell’interpretazione sistematica degli art. 122 e 136, la valutazione ex post (riservata al giudice che procede) assume rilievo quando non solo vi sia stata l’ammissione in violazione della prima disposizione, ma il giudizio si concluda in senso sfavorevole alla parte ammessa al patrocinio ovvero senza una pronuncia sul merito della controversia.
In caso di estinzione del processo per rinuncia agli atti del giudizio della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non può trovare applicazione la seconda parte dell’art. 136, comma 2, dal momento che la pronuncia adottata (condizionata solo dalla rinuncia agli atti) prescinde dalla sussistenza o meno di una fattispecie di responsabilità processuale aggravata; e tuttavia, in un caso del genere, in cui è addebitabile alla parte il fatto che il giudizio non addivenga ad una conclusione di merito e che non sia di conseguenza possibile una disamina piena della domanda agli effetti (tra l’altro) di cui all’art. 96 c.p.c., se si circoscrivesse la revoca ai profili inerenti ai presupposti reddituali ed alla mala fede o colpa grave, verrebbe evidentemente sminuita la funzione sanzionatoria della disposizione.