Omessa pronuncia, ricorso per cassazione: rispetto alla qualificazione del vizio proposto rileva essenzialmente la comprensibilità della censura

È vero che le Sezioni Unite, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo ed ai principi del giusto processo (essi stessi ostativi ad un formalismo idoneo a limitare il diritto di accesso ad un tribunale garantito dall’art. 6 CEDU), hanno ritenuto che la specificazione dei motivi di ricorso non richieda né formule sacramentali né l’esatta indicazione numerica di una delle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c. Ragion per cui, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, non è indispensabile che faccia corretta menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 360, n. 4, con riferimento all’art. 112 c.p.c. A tale affermazione, tuttavia, si lega quanto segue. Si richiede innanzitutto una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocabilmente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’art. 360 citato. Inoltre, l’ammissibilità della censura deve essere collegata ineludibilmente alla circostanza che nello svolgimento del motivo si faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dall’omissione di pronuncia, dovendo invece essere dichiarato inammissibile il motivo allorché, in ordine a siffatta doglianza, il ricorrente sostenga che la motivazione sia stata omessa o insufficiente, ovvero si limiti ad argomentare sulla violazione di legge [Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza del 4.11.2014, n. 23508].

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