Evidente difetto di prova: responsabilità processuale aggravata?

La condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione. In particolare, è necessaria l’allegazione e la dimostrazione, anche in via indiziaria, quanto meno della colpa grave in capo alla parte soccombente nell’agire o resistere in giudizio: occorre, cioè, provare che la parte abbia posto in essere una condotta consapevolmente contraria alle regole generali di correttezza e buona fede, tale da risolversi in un uso strumentale ed illecito del processo, in violazione sostanziale anche del canone costituzionale del dovere di solidarietà. Nel caso in esame, posto che la mera infondatezza dell’azione non costituisce circostanza da sola sufficiente ai fini dell’adozione di una pronuncia ex art. 96 c.p.c., il giudice afferma che, nonostante l’evidente difetto di prova che affligge la domanda proposta, non è ravvisabile alcuna forma di abuso del processo né alcun indice di malafede o di colpa grave.

Tribunale di Roma, sentenza del 27.11.2020