Differenza tra domande nuove e modificate: le prime si aggiungono a quelle originarie, le seconde le sostituiscono

Nel primo grado di giudizio, contrariamente a quanto accade in appello (art. 345 c.p.c.), non è espressamente previsto il divieto totale di domande nuove, ma è ammessa una limitatissima categoria di domande nuove, vale a dire quelle costituenti conseguenza della riconvenzionale o delle eccezioni del convenuto. La particolarità di tali domande nuove è che si aggiungono a quelle iniziali e non le sostituiscono. La differenza tra le domande nuove e quelle modificate, pertanto, è che le prime si aggiungono a quelle originarie ed estendono l’oggetto del giudizio, mentre le seconde non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono, pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività. Quindi, l’attore, implicitamente rinunciando alla precedente domanda mostra chiaramente di ritenere la domanda come modificata più rispondente ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale dedotta in giudizio. Dunque, la modifica (consentita) della domanda deve essere idonea a tutelare l’interesse della parte ad ottenere giustizia. Conseguenza logico – giuridica di una simile impostazione è che la modificazione della domanda, può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), quando tale modifica costituisca la soluzione più adeguata agli interessi della parte in relazione alla vicenda sostanziale dedotta in lite. L’unico limite alla modifica della domanda è che l’originario elemento identificativo soggettivo delle persone rimanga immutato e che la vicenda sostanziale sia uguale, o “connessa a vario titolo” a quella dedotta in giudizio con l’atto introduttivo.

NDR: in argomento si veda Cass. S.U. 12310/2015.

Tribunale di Milano, sentenza del 11.6.2020