Interpretazione del contratto – valore della lettera della legge – valore del comportamento delle parti – soluzione – factoring pro solvendo
Di massima, in tema di regole sull’interpretazione del contratto, sussistono due orientamenti:
-per il primo, nell’ambito dei canoni strettamente interpretativi (artt. 1362 e 1365 c.c.), risulta certamente prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole (di cui all’art. 1362 c.c., comma 1), con la conseguenza che, quando quest’ultimo canone risulti sufficiente, l’operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente, quanto definitivamente, conclusa; ciò in quanto l’art. 1362 c.c., comma 2, che invita ad identificare il significato dell’atto in base al comportamento complessivo delle parti, va applicato in via sussidiaria, ove l’interpretazione letterale e logica sia insufficiente;
-per il secondo, non vi è una gerarchia insita nell’art. 1362 c.c., per cui i due criteri ermeneutici hanno carattere paritario; nell’interpretazione del contratto, il criterio letterale e quello del comportamento delle parti, anche successivo al contratto medesimo ex art. 1362 c.c., concorrono, in via paritaria, a definire la comune volontà dei contraenti; ne consegue che il dato letterale, pur di fondamentale rilievo, non è, da solo, decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo che deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sè non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione “prima facie” chiara può non apparire più tale se collegata alle altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti.
A fronte di questi due diversi orientamenti, è comunque chiaro va negato valore assoluto al brocardo “in claris non fit interpretatio”, ritenendo che il dato testuale, pure fondamentale, non è, da solo, decisivo ai fini della ricostruzione del contenuto di un accordo negoziale, dovendosi ricorrere ad ulteriori elementi, non solo testuali, ma anche extratestuali, espressamente indicati dal legislatore negli artt. 1362 e seg. c.c., che impongono di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo, per quanto chiaro, sia incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti.
Il factoring pro solvendo è lo strumento finanziario con cui l’impresa cede il credito al factor mantenendo comunque la “responsabilità” nel caso in cui l’azienda debitrice non assolva i suoi oneri alla scadenza convenuta. Vuol dire, quindi, che l’azienda cedente accetta di pagare il debito, in caso di insolvenza del debitore e, dunque, funge a sua volta da garante del pagamento del credito. In questa eventualità, la società di factoring si limita a gestire l’incasso e l’amministrazione del credito vantato, senza però assumersi il rischio dell’insolvenza. I vantaggi del factoring pro solvendo per l’impresa cedente sono relativi alla possibilità di ottenere velocemente lo smobilizzo dei crediti che saranno immediatamente disponibili per ottimizzare i flussi di cassa, soprattutto nel breve periodo. Il fornitore, al contempo, garantisce la solvenza del debitore e, pertanto, nel caso in cui, alla scadenza, i crediti ceduti non siano incassati, egli è tenuto a restituire al factor le somme ricevute anticipatamente, oltre le spese di gestione e le relative commissioni per l’opera prestata. Il valore dell’anticipazione resa all’imprenditore cedente, pertanto, non corrisponde solo al prezzo di cessione, ma al finanziamento versato “in conto prezzo” in ragione della futura ed eventuale riscossione del credito, determinante il momento di realizzo degli effetti della cessione pro solvendo o di credito futuro, ove il prezzo può definirsi, o aggiustarsi, in base ad altri meccanismi contrattuali convenuti tra le parti; in ogni caso, l’anticipazione in termini di minor valore rispetto a quello nominale del credito ceduto non necessariamente indica che si tratti di un rapporto di gestione del credito assistito da un finanziamento, e non di cessione del credito pro solvendo, posto che occorre considerare se, nell’economia dell’intero contratto, la gestione del credito verso il cliente, e l’incasso del medesimo per conto e nell’interesse del fornitore, è nel suo complesso assolutamente prevalente rispetto alla cessione pro solvendo del credito, comunque pattuita, tenuto conto che nello schema del contratto di factoring rientra la possibilità di pattuire la cessione pro solvendo, e non solo pro soluto, dei crediti, essendo tale evenienza regolata anche dal legislatore, anche ai fini dell’esercizio della revocatoria.
Cassazione civile, sezione terza, ordinanza del 26.05.2020, n. 9875