Dichiarazione di fallimento e credito tributario

Va confermata la tesi per cui in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 87, come modificato dal D.L. n. 138 del 2002, art. 3, nel prevedere che il concessionario possa, per conto dell’Agenzia delle entrate, presentare il ricorso ai sensi della L. Fall., art. 6, non introduce alcuna deroga o disciplina speciale rispetto a tale ultima norma, ma si limita ad individuare, con disposizione processuale, il soggetto legittimato ad agire per conto del titolare del credito; nè l’abrogazione della L. Fall., art. 4 (in cui era previsto il rinvio al cd. fallimento fiscale) da parte del D.Lgs. n. 5 del 2006 produce alcuna efficacia sulla descritta disciplina ordinaria, così come integrata, in quanto già il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 97 (cui rinviava la norma fallimentare) era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte costituzionale 9 marzo 1992, n. 89 e dunque il medesimo art. 4, comma 2, che faceva salve le disposizioni di legge speciale sul fallimento per debito d’imposta, era già rimasto privo di contenuto. Ne discende che, da un lato, il predetto art. 6 non contiene una esclusione per particolari categorie di creditori, dovendosi l’opposta interpretazione intendere come lesiva del principio di eguaglianza fra i creditori, di cui all’art. 3 Cost., poichè ad uno di essi verrebbe riconosciuto un trattamento deteriore, senza giustificazione, rispetto a quello di tutti gli altri e, dall’altro, che la possibilità per l’amministrazione finanziaria di chiedere il fallimento per debito d’imposta non presenta dubbi di manifesta incostituzionalità, ai sensi dell’art. 24 Cost., dovendo anche il credito tributario, come tutti gli altri, essere delibato incidentalmente dal giudice in ordine alla sua fondatezza, ogni volta che vi sia contestazione.

Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza del 20.5.2020, n. 9218