Covid-19 e locazione ramo d’azienda: no buona fede, no eccessiva onerosità sopravvenuta, sì impossibilità parziale temporanea.
Relativamente alla disciplina emergenziale determinata dal Covid-19, non vi è alcuna norma di carattere generale che preveda una sospensione dell’obbligo di corrispondere i canoni di locazione: il legislatore ha inteso, in relazione a talune, pur numerose, fattispecie, assumere iniziative di agevolazione ma nulla ha voluto disporre in ordine al quantum ed al quando del pagamento dei canoni di locazione commerciale o di affitto di azienda.
Il richiamo alle disposizioni di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c., pur suggestivo e pur se variamente declinato in dottrina, non persuade.
Il principio della buona fede oggettiva si concretizza nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte e nel porsi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto. La buona fede pertanto, si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte.
Se è certamente possibile, quindi, far discendere da tale disposizione un obbligo di collaborazione di ciascuna delle parti alla realizzazione dell’interesse della controparte quando ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a suo carico, assai arduo ed in definitiva impercorribile appare invece il tentativo di dilatarne l’ambito applicativo sino a toccare in modo sensibile le obbligazioni principali del contratto, a partire dai tempi e dalla misura di corresponsione del canone; si tratterebbe, del resto, di esito interpretativo – oltre che sconosciuto alla giurisprudenza formatasi in argomento – che rischierebbe di minare la possibilità, per le parti, di confidare nella necessaria stabilità degli effetti del negozio (quanto meno, i principali) nei termini in cui l’autonomia contrattuale li ha determinati.
La sollecitazione ad una applicazione dell’articolo 1467 c.c. in tema di eccessiva onerosità sopravvenuta, a prescindere da ogni altra considerazione in ordine alla sua applicabilità al caso di specie, non può trovare accoglimento trattandosi di rimedio incompatibile con la conservazione del contratto, ma idoneo (come da giurisprudenza richiamata da parte resistente) solo a provocarne lo scioglimento.
Assai più delicata è invece la questione afferente l’eccepita impossibilità della prestazione ovvero il venir meno dell’obbligazione avente ad oggetto il corrispettivo per l’impossibilità di “utilizzare la prestazione contrattuale dovuta dalla resistente e specificamente .. usufruire non solo dei locali presso cui l’attività aziendale viene svolta, ma di tutto il complesso di beni che del ramo di azienda fanno parte”.
La soluzione alla questione risiede, ad avviso di questo giudicante, in una applicazione combinata sia dell’articolo 1256 c.c. (norma generale in materia di obbligazioni) che dell’articolo 1464 c.c.. (norma speciale in materia di contratti a prestazioni corrispettive).
Nel caso di specie ricorre difatti una (del tutto peculiare) ipotesi di impossibilità della prestazione della resistente allo stesso tempo parziale (perché la prestazione della resistente è divenuta impossibile quanto all’obbligo di consentire all’affittuario, nei locali aziendali, l’esercizio del diritto a svolgere attività di vendita al dettaglio, ma è rimasta possibile, ricevibile ed utilizzata quanto alla concessione del diritto di uso dei locali, e quindi nella più limitata funzione di fruizione del negozio quale magazzino e deposito merci) e temporanea (perché l’inutilizzabilità del ramo di azienda per la vendita al dettaglio è stata ab origine limitata nel tempo).
La conseguenze di tale vicenda sul contratto – ferma la circostanza che, come già osservato, alcuna delle parti ha manifestato la volontà di sciogliersi dal vincolo contrattuale – non sono dunque né solamente quelle della impossibilità totale temporanea né quelle della impossibilità parziale definitiva (che determinerebbe, ex art. 1464, una riduzione parimenti definitiva del canone): trattandosi di impossibilità parziale temporanea, il riflesso sull’obbligo di corrispondere il canone sarà dunque quello di subire, ex art. 1464 c.c. una riduzione destinata, tuttavia, a cessare nel momento in cui la prestazione della resistente potrà tornare ad essere compiutamente eseguita.
In conclusione, si ritiene che avendo la resistente potuto eseguire (pur senza colpa, ma per factum principis) una prestazione solo parzialmente conforme al regolamento contrattuale, la ricorrente abbia diritto ex art. 1464 c.c. ad una riduzione del canone limitatamente al solo periodo di impossibilità parziale, riduzione da operarsi, nella sua determinazione quantitativa, avuto riguardo: a) alla sopravvissuta possibilità di utilizzazione del ramo di azienda nella più limitata funzione di ricovero delle merci, correlata al diritto di uso dei locali;
b) al fatto che è il ramo di azienda è pur sempre rimasto nella materiale disponibilità della ricorrente.