Parte soccombente non ammessa al gratuito patrocinio: liquidazione dei compensi

Il giudice è tenuto a quantificare in misura eguale le somme dovute dal soccombente allo Stato ex art. 133 T.U. e le somme dovute dallo Stato al difensore ex artt. 82 e 130 T.U.

 

Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza del 16.9.2016, n. 18167

…omissis…

Considerato in fatto

 

Con decreto del 12 dicembre 2012, la Corte di Appello di Catanzaro liquidava in favore dell’Avv. omissis la somma di Euro 1.000,00 per l’attività difensiva prestata, nel giudizio civile omissis, a favore di omissis, ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Avverso suddetto decreto, l’Avv. omissis proponeva opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, lamentando che la Corte avrebbe dimezzato due volte, in applicazione dell’art 130 del Decreto presidenziale, le competenze a lui spettanti ex artt. 82 e segg..

Il giudice calabrese rigettava l’opposizione con l’ordinanza del 3 giugno 2013, depositata in data 5 giugno 2013, avverso la quale l’Avv. omissis ha proposto ricorso straordinario per cassazione, notificato a mezzo posta il 24 giugno 2013, articolando due motivi.

Con il primo motivo ha dedotto la violazione dell’art. 2041 c.c. e del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82, 130 e 133.

Con il secondo motivo ha denunciato l’omessa pronuncia del giudice su alcune delle eccezioni articolate nel precedente grado di giudizio.

Il Ministro della giustizia non ha svolto difese in questa sede.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c., proponendo l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in diritto

 

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c., che di seguito si riporta: “Il ricorrente, deducendo con i due motivi la violazione delle norme del Testo Unico sulle spese di giustizia e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, contesta l’ingiusto dimezzamento da parte della Corte di Appello di Catanzaro dell’entità dei compensi a lui spettanti per l’attività di gratuito patrocinio resa in un giudizio civile, in quanto le somme indicate nella sentenza conclusiva del giudizio presupposto, poi ridotte ulteriormente a seguito dell’istanza di liquidazione, erano state già calcolate in misura ridotta del 50%, secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130. Il ricorrente deduce pertanto che la scelta del giudice sarebbe contraria alla ratio delle norme di settore e ai principi generali dell’ordinamento, perchè da essa deriverebbe un ingiustificato arricchimento dello Stato a discapito dell’originario soccombente, tenuto unicamente al rimborso delle somme anticipate dall’erario ai sensi degli artt. 131 segg. del T.U.. A tal proposito, egli afferma peraltro di aver prospettato in sede d’opposizione alcune dirimenti eccezioni, che il giudice de quo avrebbe respinto senza articolare specifica motivazione.

Tali censure, che per la loro stretta connessione si prestano a uno scrutinio congiunto, appaiono fondate.

Questa Corte, con la sentenza n. 46537 del 2011, ha sancito il principio secondo cui, qualora nell’ambito di un giudizio penale l’imputato sia condannato anche alla refusione delle spese giudiziali in favore della parte civile ammessa a gratuito patrocinio, la quantificazione degli onorari e delle spese ex artt. 82 segg. T.U., liquidate dallo Stato in favore del difensore del non abbiente, deve necessariamente corrispondere alla quantificazione delle somme dovute dall’imputato allo Stato anticipatario, secondo il meccanismo di cui all’art. 110 T.U..

A fondamento delle proprie conclusioni, la Corte richiama l’operare sinergico del divieto dell’ingiustificato arricchimento e del divieto di ingiustificati danni erariali, i quali impongono all’interprete la soluzione della netta corrispondenza fra quanto dovuto dall’imputato allo Stato e quanto dovuto dallo Stato al gratuito patrocinatore, al fine di evitare che l’eventuale divario tra le somme possa costituire occasione di ingiusto profitto o di danno per le casse statali: Allo stesso tempo, essa esclude che la validità della soluzione ermeneutica appena esposta possa essere pregiudicata dalle ricostruzioni di chi include tra le conseguenze negative dell’equazione imposta dal Giudice di legittimità anche quella di far beneficiare (imputato dello stato di povertà del danneggiato, permettendogli di rimborsare le spese giudiziali in misura ridotta rispetto a quelle normalmente versate per la difesa dell’abbiente, perchè limitate, ai sensi dell’art. 82 T.U., al valore medio delle singole voci tariffarie. Del resto, tali contestazioni, pur rilevando un dato oggettivo, ossia la minore entità delle somme rimborsate, vi riconoscono un’iniqua attenuazione del regime santionatorio imposto al condannato, disconoscendo così la vera ratio dell’istituto della rifusione delle spese legali, il quale mira unicamente a tenere indenne la controparte dei costi sostenuti per la propria difesa, senta perseguire ulteriori finalità di stampo punitivo.

Il principio espresso dalla Corte, poi confermato dall’ordinanza n. 270/2012 del Giudice delle leggi, traendo fondamento da principi generali, e non settoriali, dell’ordinamento, risulta connotato da una notevole vis espansiva, in virtù della quale esso si presta a trovare applicazione non solo nell’ambito del processo penale, ma anche nel settore più ampio dei giudizi civili. Pertanto, anche nel caso di specie, nel quale è risultata soccombente la parte non ammessa al gratuito patrocinio, il giudice adito ex art. 170 T.U. avrebbe dovuto liquidare i compensi spettanti al ricorrente in misura non inferiore rispetto a quella delle spese giudiziali calcolate al termine del giudizio presupposto. Difatti, la Corte di Appello di Catanzaro, pur rilevata l’assenta di circostante tali da far ritenere già applicato il dimezzamento obbligatorio, avrebbe dovuto comunque attenersi alla pregressa liquidazione delle spese giudiziali, peraltro non impugnata e passata in giudicato, al fine di evitare un ingiustificato arricchimento dello Stato a discapito del soccombente, tenuto altrimenti a versare somme superiori rispetto a quelle effettivamente dovute al gratuito patrocinatore ai sensi degli artt. 82 e 130 T.U..

Pertanto, ribadito in sede civile il principio secondo cui il giudice è tenuto a quantificare in misura eguale le somme dovute dal soccombente allo Stato ex art. 133 T.U. e le somme dovute dallo Stato al difensore ex artt. 82 e 130 T.U., appare opportuna la scelta di procedere in via camerale ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., potendosi rilevare la manifesta fondatezza delle censure dedotte dal ricorrente”.

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, e alla quale non sono state rivolte critiche di sorta, sono condivisi dal Collegio, ragione per la quale l’ordinanza impugnata va cassata, con rinvio a diversa Sezione della Corte di appello di Catanzaro, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

pqmLa Corte, accoglie il ricorso; cassa il provvedimento impugnato e rinvia a diversa Sezione della Corte di appello di Catanzaro, anche per le spese del giudizio di Cassazione.