Spese di lite: il criterio della soccombenza va riferito alla causa nel suo insieme

Va confermato che in materia di procedimento civile, il criterio della soccombenza deve essere riferito alla causa nel suo insieme, con diretto riferimento all’esito finale della lite, sicché è totalmente vittoriosa la parte nei cui confronti la domanda avversaria sia stata totalmente respinta.

 

Cassazione civile, sezione seconda, sentenza del 13.9.2016, n. 17955

 

…omissis…

In via preliminare il Collegio revoca la precedente ordinanza del 29 ottobre 2015 con la quale era stato disposto l’integrazione del contraddittorio, tenuto conto dell’orientamento pacifico della giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui “Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione “prima facie” infondato, appare superflua, pur potendo sussistere i presupposti (come nella specie, per inesistenza della notificazione del ricorso nei confronti di alcuni litisconsorti necessari), la fissazione del termine ex art. 331 c.p.c., per l’integrazione del contraddittorio, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti” (Cass. n. 2723 del 08/02/2010). E, nell’ipotesi in esame la infondatezza del ricorso avrebbe dovuto allora e deve adesso indurre a disporre la trattazione del ricorso, anche se il contraddittorio tuttora non risulterebbe perfettamente integrato.

Con il primo motivo del ricorso Sp.Ma. lamenta la violazione falsa applicazione dell’art. 948 c.c.

Secondo il ricorrente la Corte distrettuale avrebbe erroneamente applicato alla fattispecie in esame la normativa di cui all’art. 948 c.c.. qualificando l’azione proposta da Sp. quale azione di accertamento della proprietà con effetti restitutori, senza tener conto delle eccezioni delle produzioni e delle domande delle parti convenute. In particolare la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto che risultava pacificamente dagli atti di causa che i beni di cui si dice si appartenevano ai comuni dante causa, i fratelli A. e, non ha tenuto conto, neppure, che in tema di rivendicazione, allorchè il convenuto contrapponga l’esistenza di un suo titolo derivativo di proprietà o di possesso che abbia per presupposto l’originaria appartenenza del cespite al dante causa indicato dall’attore rivendicante, l’onere probatorio di quest’ultimo si risolve nella necessità di dimostrare la validità delle traslazioni del bene dal comune dante causa fino a lui e l’attitudine del suo titolo a prevalere su quello della controparte (Cass. n. 3564 del 1995). Sicchè, la Corte territoriale, avrebbe dovuto verificare se i titoli invocati dall’attore erano opponibili ai convenuti e se quest’ultimi avevano fornito o chiesto di fornire prova della fondatezza delle proposte eccezioni o domande.

Il motivo è infondato ed essenzialmente perchè, secondo la Corte distrettuale, Sp. non ha dato prova della titolarità dei dritti che lo stesso pretendeva di vantare.

Come correttamente ha chiarito la corte distrettuale nel caso in esame la situazione di fatto che aveva dato origine al processo muoveva dal dato incontrovertibile rappresentato dall’attore, che sommando le quote di proprietà dei soggetti che assumevano di vantare diritti sui beni oggetto di causa si otteneva un valore maggiore dell’intero (….) pertanto, non poteva darsi luogo alla pronuncia di accertamento mero della situazione di comproprietà con conseguente rettifica dei dati catastali, pronuncia che presupponeva che l’insieme delle quote, prima e dopo, la rettificazione corrispondesse all’intero bene. Sicchè la domanda sulla base della causa petendi e del petitum, non poteva che essere qualificata quale richiesta di accertamento della reale proprietà sui beni. Con la conseguenza che l’accertamento sulla proprietà comportava un’indagine sui titoli di acquisto. Sennonchè quanto all’eredità materna (…) egli ( Sp.) nulla ha prodotto a dimostrazione della sua qualità di unico erede e, soprattutto, nulla ha dimostrato circa la dichiarazione nell’asse ereditario della madre di una quota dei diritti ereditari della stessa, o a diverso titolo, sul fabbricato o sull’orto oggetto di causa. Quanto ai diritti spettanti con la cessione di diritti ereditari operata dagli eredi di A.C. e da A.A., ugualmente nulla risultava dimostrato circa l’esistenza dei diritti ereditari così trasmessi nell’asse di C. e di pari diritti ereditari nel patrimonio di A. (….).

E di più, la Corte distrettuale ha specificato che la mancata prova che le quote ereditarie acquistate da Sp. risultassero presente nell’asse e/o nel patrimonio dei suoi danti causa esimeva da ogni indagine circa la legittimità o meno dei titoli di controparte.

Pertanto la sentenza non ha imposto all’attore l’onere di prova rigorosa della proprietà, ma della prova necessaria e sufficiente a risolvere il conflitto tra titoli sollevato dai convenuti con la contestazione della titolarità dei diritti in capo ai suoi dante causa e della misura di essi.

Senza dire che l’onere della cosiddetta “probatio diabolica” incombente sull’attore si attenua quando il convenuto si difenda deducendo un proprio titolo d’acquisto, quale l’usucapione, che non sia in contrasto con l’appartenenza del bene rivendicato ai danti causa dell’attore; in tali ipotesi, detto onere può ritenersi assolto, in caso di mancato raggiungimento della prova dell’usucapione, con la dimostrazione della validità del titolo di acquisto da parte del rivendicante e dell’appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assuma di aver iniziato a possedere(Cass. n. 5487 del 17/04/2002). E, nel caso in esame Sp., come risulta evidente dalla sentenza, non ha dimostrato la titolarità dei diritti che pretendeva di vantare.

Con il secondo motivo, il ricorrente, denuncia l’illogica e/o contraddittoria motivazione. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1542 cc in relazione agli artt. 1469 c.c. e segg..

Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto che le cessioni di diritti prodotte ed allegate dallo Sp. avendo ad oggetto la vendita di eredità andavano ricompresi nell’ambito di una vendita aleatoria e conseguentemente ha ritenuto ininfluente la prova orale richiesta dall’appellante dato che i titoli invocati, comunque, non valevano a produrre effetti reali ma esclusivamente effetti obbligatori.

Epperò, la Corte non avrebbe tenuto conto che le cessioni di cui si dice avevano ad oggetto beni immobili identificati e specificati e pertanto integravano gli estremi di contratti ad effetti reali.

Il motivo rimane assorbito dall’infondatezza del primo motivo.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta un’ulteriore violazione di legge ed illogica e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Avrebbe errato la Corte distrettuale nel non aver ammesso i mezzi istruttori reiteratamente richiesti finalizzati a dimostrare che l’attore ebbe a possedere in virtù dei propri diritti i beni oggetto di causa.

Piuttosto se la Corte distrettuale avesse correttamente qualificato la domanda e valutate le produzioni di parte attrice, regolarmente trascritte anche presso i pubblici registri, avrebbe certamente dovuto ammettere le prove richieste in quanto idonee a dimostrare che almeno dal 1962 epoca delle cessioni e già al momento della proposizione della domanda (1991) risultava ottemperato l’onere probatorio rigorosamente imposto dal Tribunale poichè sarebbe stata acquisita la prova che quest’ultimo in virtù di titolo idoneo avendo posseduto per oltre un ventennio doveva tenersi ed essere qualificato legittimo proprietario pro quota dei beni oggetto di causa.

Il motivo come è evidente rimane assorbito dai motivi precedenti avendo già escluso che Sp. avesse svolto sui beni oggetto di causa un possesso utile ai fini dell’usucapione.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l’inesistente e/o carente e/o contraddittoria motivazione. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c.. Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata risulterebbe emessa in violazione anche dell’art. 92 c.c., relativamente alla regolamentazione delle spese e competenze del doppio grado del giudizio.

Piuttosto il Tribunale di Cosenza, come era stato rilevato con l’atto di appello, all’esito della ritenuta infondatezza delle eccezioni di parte convenuta avrebbe dovuto applicare il principio della reciproca soccombenza.

Il motivo è infondato.

Infatti la Corte distrettuale ha preso atto che la pronuncia sulle spese di primo grado era stata resa conformemente al principio di soccombenza, avendo verificato che la domanda avanzata dallo Sp. era stata rigettata. Va qui ricordato che in materia di procedimento civile, il criterio della soccombenza deve essere riferito alla causa nel suo insieme, con diretto riferimento all’esito finale della lite, sicchè è totalmente vittoriosa la parte nei cui confronti la domanda avversaria sia stata totalmente respinta.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere al regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione dato che la società Doma s.r.l. in questa fase non ha svolto attività giudiziale.

pqm

La Corte rigetta il ricorso.