Non contestazione ex art. 115 c.p.c.: bisogna contestare i fatti. Se si contestano le prove, allora i fatti vanno espunti dall’accertamento perché già provati.
L’onere che grava sul convenuto in senso sostanziale ai sensi dell’art. 167 c.p.c. reca la presa di posizione imprescindibile sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda. Se il convenuto omette di svolgere quest’attività difensiva, il giudice può porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte convenuta costituita (art. 115, comma 1°, c.p.c.). L’attività di contestazione concerne i fatti, non le prove che li dimostrano, poiché l’esigenza di offrire la prova di un fatto è un posterius il cui prius logico e giuridico è sostanziato dal gravitare il fatto nell’orbita del thema probandum, che ricorre quante volte esso sia controverso, questione da dirimersi a monte attraverso l’esplicazione degli effetti del principio di non contestazione. Nel caso di specie il convenuto non ha contestato i fatti – non ha cioè preso posizione sulla fonte negoziale del diritto di credito e sulla sua entità concordata dalle parti – limitandosi a dedurre l’insufficienza a dimostrarli della documentazione prodotta. Pur tuttavia, ciò si risolve in un’attività logicamente successiva alla delimitazione del thema probandum, che per effetto del comportamento processuale del convenuto ha visto espunto l’accertamento dei fatti costitutivi della domanda attorea, sui quali quest’ultimo ha omesso di prendere compiuta posizione, negandoli espressamente e specificamente.