Il debitore esecutato ha diritto all’equa riparazione da irragionevole durata della procedura esecutiva?

Il debitore esecutato non è necessariamente percosso dagli effetti negativi di un’esecuzione forzata di durata irragionevole, atteso che dall’esito finale di tale processo egli ritrae essenzialmente un (giusto) danno. E dunque la presunzione di danno non patrimoniale derivante dalla pendenza del processo non può operare di regola quanto alla posizione del debitore esecutato, il quale, pertanto, nell’ambito del procedimento di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001, ha l’onere di allegare non un generico ma uno specifico suo interesse ad un’espropriazione celere, e di dimostrarne l’effettiva esistenza, nel rispetto degli usuali oneri probatori gravanti sulla parte attrice. A tal fine non basta dedurre che il debitore abbia interesse ad una sollecita definizione della procedura esecutiva, sia al fine di evitare spese ulteriori ed aggravi di interessi legali o convenzionali sul debito capitale, sia per entrare in possesso della somma residuata dalla distribuzione: nell’un caso come nell’altro, occorre allegare e dimostrare, altresì, che l’attivo pignorato, o comunque pignorabile in altra sede esecutiva, fosse ab origine tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e da soddisfare tutti i creditori; e che a causa dell’irragionevole dilatazione dei tempi processuali spese ed interessi siano lievitati in maniera da azzerare o ridurre l’ipotizzabile residuo attivo ovvero la restante garanzia generica, altrimenti capiente [Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza del 16.7.2015, n. 14975].