Principio della ragione più liquida: l’esame di tutte le questioni rischia di andare a discapito del danneggiato
Com’è noto è consentito in applicazione del principio c.d. della “ragione più liquida“, analizzare gli elementi della fattispecie secondo l’evidenza dirimente e non secondo la coerenza logico argomentativa. Infatti il principio richiamato suggerisce al Giudice un approccio interpretativo con verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, preferibile, per economia processuale ove consenta una più rapida ed agevole soluzione della controversia, a quello della coerenza logico-sistematica con la conseguenza che nell’analisi delle questioni è consentito sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare di cui all’art. 276 c.p.c., tralasciando l’analisi delle questioni logicamente preordinate, ma non dirimenti. Il principio citato risponde ad esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, ormai anche costituzionalizzate ai sensi dell’art. 111 Cost , e che ha come sfondo una visione è dell’attività giurisdizionale, intesa non più come espressione della sovranità statale, ma come un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. L’esame di tutte le questioni rischierebbe di andare a discapito dell’interesse e del “danneggiato” e dell’asserito “responsabile” [Tribunale di Monza, sezione prima, sentenza del 16.06.2015].