Ricorso al posto di citazione? Sussiste responsabilità dell’avvocato se, qualora la causa fosse stata introdotta correttamente, avrebbe avuto probabilità di successo. L’avvocato ha il dovere di dissuadere il cliente dall’intraprendere azioni con esito negativo. L’onere probatorio incombe sul professionista.

La prestazione professionale dell’avvocato si sostanzia in una obbligazione di mezzi e non di risultato, per cui la responsabilità professionale presuppone la violazione del dovere di diligenza, secondo i canoni della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, cod. civ., da commisurare alla natura dell’attività esercitata. Inoltre, non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente, il danno derivante da eventuali sue omissioni in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito. L’obbligo di diligenza cui è tenuto il professionista, stante il combinato disposto di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 2236 cod. civ. , impone all’avvocato anche il dovere di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente. Il legale, infatti, è tenuto a rappresentare al proprio cliente tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi, sconsigliandolo eventualmente dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole. A al fine incombe sul professionista l’onere di fornire la prova della condotta mantenuta [Tribunale di Pisa, sentenza del 30.01.2015].

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